Mercosur: una nuova battaglia ideologica dell’Europa
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Mercosur: una nuova battaglia ideologica dell’Europa

La Rubrica - Pubblico & Privato

Dopo averlo fatto per la transizione ambientale, anche sul commercio internazionale l’Europa avvia quella che sembrerebbe essere una nuova battaglia ideologica. Anche in questo caso, il risultato potrebbe essere quello di dividere l’Europa, finendo per danneggiarla. La nuova Commissione Europea, come suo primo importante atto di politica commerciale e industriale, ha deciso di firmare il trattato di libero scambio Mercosur con i Paesi dell’America Latina, le cui negoziazioni erano in corso da oltre 20 anni. È una scelta sicuramente significativa, ma anche decisamente controversa e forse azzardata. È nota, infatti, la posizione contraria di alcuni grandi Paesi europei, come Francia e Polonia. Mentre alcuni settori industriali europei, come quello metalmeccanico e dell’automobile, salutano con favore il trattato, altri, in particolare il mondo dell’agricoltura, si oppongono strenuamente. Il governo italiano ha espresso riserve, e la sua posizione potrebbe risultare decisiva. L’approvazione richiede infatti una maggioranza qualificata nel Consiglio Europeo, e proprio il voto dell’Italia potrebbe determinare una minoranza di blocco, sufficiente ad affossare il trattato. Tutto ciò avviene in un contesto in cui il dibattito globale sulle politiche commerciali sembra andare in una direzione esattamente opposta, verso il protezionismo, con Donald Trump che minaccia di avviare una nuova stagione di dazi, anche contro l’Europa. Dal punto di vista delle politiche industriali, il nodo centrale è sempre lo stesso: l’Europa vive nell’illusione che si possano avere standard sociali e ambientali molto più stringenti rispetto al resto del mondo, frontiere totalmente aperte e una propria industria domestica. Purtroppo, questi tre obiettivi sono in conflitto tra loro. Possiamo conseguirne due su tre, ma non tutti e tre insieme. È necessario un bilanciamento, la cui scelta spetta alle istituzioni. E, purtroppo, le istituzioni, anche in questo caso, come già avvenuto per la pur doverosa transizione ambientale, sembrano aver scelto contro pezzi del sistema produttivo europeo, senza curarsi troppo delle differenze di regole tra l’Europa e gli altri Paesi. In questo caso, ad essere colpito sarà il nostro settore agricolo, il quale, essendo sottoposto a numerosissime prescrizioni - dall’uso della terra ai prodotti chimici consentiti o vietati - non è messo in grado di competere ad armi pari con i propri colleghi sudamericani, che a tali regolamenti non sono sottoposti, ma che, se il trattato sarà effettivamente ratificato, potranno liberamente esportare i loro prodotti sui nostri mercati. Anche se alcuni settori ne beneficeranno, sarebbe un grave errore da parte del mondo produttivo lasciarsi dividere su una questione che riguarda tutti: trovare un equilibrio tra le giuste esigenze di avere alti standard sociali e ambientali, una società aperta e una propria capacità e indipendenza industriale. Il libero commercio internazionale, se vuole essere veramente sostenibile, deve avvenire su basi percepite come eque da tutti. In caso contrario, si genererà una crisi di riflusso, come già sta accadendo per i temi della sostenibilità ambientale, che invece di avvicinarci all’obiettivo di ottenere un libero ed equo commercio internazionale, ci allontanerà, alimentando una forte avversione. Se e quando Donald Trump avvierà una nuova stagione di protezionismo, l’Europa dovrà rifuggire da una visione ideologica, che vede nel libero commercio globalizzato un obiettivo da raggiungere in sé, anziché un mero strumento per una prosperità più diffusa. La globalizzazione degli ultimi 20 anni ha certamente generato prosperità e molti vincenti, ma anche tanta disuguaglianza e moltissimi perdenti. Se vogliono espandere il libero commercio internazionale, le nostre istituzioni devono farsi carico delle differenze di regole, o riducendo le prescrizioni richieste al nostro interno, o imponendo le stesse regole agli altri, prima di aprire le frontiere. In caso contrario, si genererà ulteriore divisione in Europa proprio in un momento in cui, decisamente, non ve n’è bisogno.

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Mattia Adani