«Il Mes dà i soldi degli italiani a Francia e Germania». «L’Italia ha versato al Mes 60 miliardi di euro». «Abbiamo pagato più degli altri». «120 miliardi degli italiani per salvare le banche tedesche». Sul Mes, il fondo salva-Stati sulla cui riforma si sta accapigliando la politica italiana, sono circolate le voci più disparate.
Per cercare di fare chiarezza su chi ha versato cosa (e su chi salva cosa), Panorama è andato a cercare le fonti ufficiali. E sul sito dello European Stability Mechanism ha trovato l’elenco dei capitali versati (e di quelli sottoscritti) dai 19 Stati membri all’organizzazione internazionale, attiva dal luglio 2012, che ha il compito di raccogliere fondi e sostenere i Paesi dell’area euro in caso di gravi difficoltà finanziarie.
Anzitutto, i soldi versati da Roma al Meccanismo europeo di stabilità sono poco più di 14 miliardi di euro (14.330.960.000 per la precisione), pari al 17,7839 per cento del totale di 80 e passa miliardi di euro (80.482.960.000 per la precisione). Questi 80 miliardi sono i capitali versati, cioè i finanziamenti effettivamente erogati da Roma al Mes che, sorto nel 2012 sul modello del Fondo monetario internazionale, rappresenta il primo tentativo organico di dotare l’eurozona di un meccanismo per affrontare le crisi.
Altro discorso sono i capitali sottoscritti, che complessivamente assommano a oltre 704 miliardi di euro. Un’ingente cifra che non è mai stata versata, né dall’Italia né da nessun altro Paese membro. Ma, come si legge in un documento del Parlamento europeo intitolato «The European Stability Mechanism: Main Features, Instruments and Accountability», quella cifra sottoscritta può essere «richiamata in qualsiasi momento, in caso di bisogno». Dei 704 miliardi di euro, la quota assegnata al nostro Paese supera i 125 miliardi di euro (125.340.600.000, per la precisione).
Sotto il profilo della stretta operatività, il Mes può «solo» contare sul capitale effettivamente versato. «Come per tutto il meccanismo europeo, anche per il Mes gli Stati membri contribuiscono con proporzionalità, in funzione della loro scala economica e demografica» spiega a Panorama Carlo Pelanda, docente di Economia all’Università Marconi di Roma.
La Germania è il primo contributore netto, con quasi 22 miliardi di euro di capitale versato (quasi il 27 per cento del totale), seguita dalla Francia (quasi 20,3 per cento). Con i suoi 14 e passa miliardi, il nostro Paese si trova dunque al terzo posto nella classifica dei 19 Paesi membri.
Ma è vero che il potere decisionale è in mano a Germania e Francia perché sono quelle che hanno messo più soldi? «Il Mes non è un organo comunitario, è un’organizzazione intergovernativa» risponde Pelanda. «Il punto di sostanza è che negli organismi comunitari ci sono forti principi di tutela degli Stati membri, nelle organizzazioni intergovernative sono invece meno forti. Ne deriva che, come per tutti i meccanismi intergovernativi, per il Mes valgono di più i rapporti di forza, a differenza dei meccanismi comunitari, dove valgono di più i rapporti di diritti».
Pelanda, che pur non definendosi euroscettico è molto critico verso il Mes, sottolinea un aspetto controverso. «Una delle condizioni per le erogazioni agli Stati da parte del Mes è che siano in regola con i parametri europei» spiega. «Poiché l’Italia non lo è, il paradosso è che potrebbe non accedere al prestiti. Certo, parliamo di scenari eventuali. E qui scatta l’ipotesi di violazione dell’articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme, e dell’articolo 11, secondo il quale l’Italia può cedere sovranità solo alla condizione di parità con altri Stati». Ma queste obiezioni non dovevano essere sollevate già nel giugno 2018? «Ah… Questo non lo dica a me: io queste cose le dico da tempo. Lo chieda ai nostri politici» è la tagliente risposta di Pelanda.
Ancora più provocatoria l’ultima osservazione: «Ma più che parlare del Mes, noi italiani dovremmo parlare del fatto che non siamo capaci di ridurre il debito pubblico, pur avendo un patrimonio pubblico nazionale e locale, fatto di immobili, concessioni e partecipazioni, che io stimo fra i 700 e gli 800 miliardi di euro».