Monti - Marchionne e la "minestrina"
Economia

Monti - Marchionne e la "minestrina"

L'incontro tra Governo è stato insipido. Ma non si poteva avere di più

Nessun impegno nuovo da parte della Fiat, nessuna nuova spiegazione sul perchè dell'addio all'ambizioso piano di “Fabbrica Italia”, lanciato nel 2010 con la promessa di 20 miliardi d'investimenti e mai attuato; qualche volenterosa dichiarazione d'intenti da parte del governo. Nel corso delle cinque ore di riunione-fiume di ieri sera a Palazzo Chigi, la delegazione della Fiat e quella del governo sono rimasti sostanzialmente fermi sulle posizioni della vigilia: il prestigio di Monti, economista da sempre molto stimato in casa Fiat tanto da essere stato per cinque anni consigliere, ha fatto sbollire i toni animosi del botta-e-risposta a distanza tra il capo della Fiat Sergio Marchionne e il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, e alla fine, anziché i temuti due comunicati stampa distinti, il gruppo ha partorito un unico testo congiunto, un po' insipido, una minestrina di circostanza, che però rispetto alle premesse celebra un positivo compromesso “d'immagine”.

Il comunicato fa capire solo due cose: la Fiat non lascia l'Italia (d'altronde Marchionne aveva più volte minacciato di chiudere uno o due stabilimenti, mai di chiudere tutto, opzione assai più costosa che conveniente) ma non s'impegna né sui tempi né sull'entità di eventuali nuovi investimenti in Italia (“investiremo nel momento idoneo”); il governo non si sente chiedere sussidi tradizionali (e, a quanto filtra, nemmeno la cassa integrazione in deroga, per la quale non avrebbe avuto soldi a disposizione) ma accetta di negoziare misure che aiutino la Fiat ad esportare le auto prodotte in Italia. Che genere di “misure”?

E' ipotizzabile che esistano sul prossimo tavolo negoziale – che si formalizzerà al Ministero dello Sviluppo economico, sotto il controllo del ministro Passera – delle ipotesi di sgravi fiscali a chi esporta fuori dall'Unione europea? E' ipotizzabile sì, ma non sarà facile far digerire questo genere di misure all'Unione europea al di fuori di una logica d'interventi comunitari.

La delegazione Fiat – oltre a Marchionne il sempresorridente John Elkann e il capo delle relazioni sindacali Paolo Rebaudengo – ha fronteggiato una numerosa compagine governativa: Monti, Passera, Elsa Fornero, il ministro per l'integrazione territoriale Fabrizio Barca e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà. Pare che complessivamente attorno al tavolo fossero in tredici... Il tono complessivo di Marchionne si è confermato quello di sempre: una grandissima sicurezza di sé, nessun imbarazzo rispetto alle tante cose dette e non fatte. Si potrebbe dire – ma è, riconosciamolo, “antipatizzante” - una bella faccia tosta.

La Fiat non vuole niente, oibò - per quanto ieri l'altro il manager abbia celebrato, con una nota scritta, il Brasile per la decisione di sovvenzionare l'auto. E' un liberista puro, lui, per quanto la Chrysler l'abbia risanata con i soldi di Obama, che ha tirato via dal mercato la parte inguaribile dell'azienda. Quando Marchionne spiega di voler vendere in America le auto prodotte in Italia, visto che da noi la domanda interna non tira, e fa capire che sarebbe utile qualche sostegno all'export, ecco profilarsi il “tavolo” di lavoro al ministero dello Sviluppo Economico. Ma insomma, niente di significativo.

Poteva andar meglio? Sostanzialmente, no. L'emergenza-Fiat c'è, ma la casa non sta ancora bruciando: la cassa integrazione grazie alla quale per ora il Lingotto non sta licenziando dura fino alla seconda metà del 2013, quando al governo ci sarà  - probabilmente - qualcun altro. Quindi Marchionne non poteva avere in questo  esecutivo un interlocutore autentico. Il problema, se non sarà risolto prima da un'improbabile ripresa, si riproporrà pari-pari sul tavolo del prossimo esecutivo. Questo governo, insomma, più che prendersi la responsabilità politica di richiamare la Fiat al rispetto del suo ruolo storico di industria-guida del sistema nazionale non poteva fare né dire: e questo ha fatto.

I giornali di oggi, nel rendere conto dell'incontro con Marchionne, hanno quasi tutti sorvolato su una concomitanza: l'accordo per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dell'industria chimica, chiuso in quattro e quattr'otto, con 148 euro di aumenti per i 180 mila dipendenti del settore, con la firma di due grandi federazioni confindustriali, Federchimica e Farmindustria, e della Cgil senza nessuna discarsia con Cisl e Uil. Il tutto, in settori estremamente esposti alla concorrenza internazionale. Forse c'è ancora qualcuno che sa come competere, producendo in Italia e vendendo nel mondo. Forse la differenza la fanno anche i prodotti...

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Sergio Luciano