È morto Steno Marcegaglia, vero capitano d'industria
Il ricordo dell'imprenditore mantovano, lo "zappaterra" che da grande voleva fare il Papa ed è diventato Re del tubo
“Il mio primo lavoro consisteva nel difendere i braccianti davanti alle commissioni agrarie contro i proprietari terrieri”: tra i capitani d’industria che hanno fatto fortuna negli anni del Miracolo italiano, Steno Marcegaglia – l’imprenditore mantovano morto ieri a 83 anni per le complicanze di una frattura al femore – è l’unico ad avere, tra gli altri, questo particolarissimo primato: aver iniziato a lavorare nel ‘48 da sindacalista, per l'Alleanza Contadini, un’organizzazione di centrosinistra che dava filo da torcere ai padroni. Forse per questo, all’inizio della sua scalata imprenditoriale, qualche collega spocchioso lo chiamava “lo zappaterra”.
Ed è forse sempre per questo che alla Marcegaglia – un colosso che oggi conta oltre 7000 dipendenti con un fatturato complessivo di oltre 4 miliardi di euro – il tasso di “turn-over” è bassissimo e la gente di Gazoldo, il paesino del Mantovano dove ha sede il quartier generale e un grande stabilimento, dice sottovoce che “qui si prende bene”, si guadagna, anche grazie ad accordi aziendali che migliorano, e non peggiorano, il contratto nazionale, scambiando produttività con reddito. E sempre per questo, sulle pareti del palazzo di vetro dove ha sede la direzione generale, dal 2009 - 50esimo anniversario della fondazione - in poi, campeggia una vetrofania di Steno alta quattro piani. Culto della personalità? Certo, ma se lo merita.
E del resto, cosa ripeteva da ragazzo, il velocissimo e attentissimo giovane veronese emigrato con il padre in provincia di Mantova? "Dicevo sempre che da grande volevo fare o il Papa, o il Duce o il Re. Il Papa c’era già, gli altri non più, e allora ho fatto il re; il re del tubo": idee chiare, non c’è che dire.
"Il mio primo stipendio fu di ventimila lire", ha raccontato in una recente intervista sui suoi esordi a Radio 24. "Mi commossi, non avevo mai visto da vicino neanche un biglietto da mille lire! E programmai: con duemila mi compro le scarpe, perché quelle che avevo erano rotte, e dal mese successivo, a rate, mi compra un Mosquito, un motorino che si applicava alla bicicletta…".
Storie inimitabili, che segnano un’epoca altrettanto irripetibile. Un’epoca dove l’Italia è stata davvero la "Cina" del mondo, dove c’era un’occasione per tutti, la crescita economica galoppava e la capacità di fare, concentrati sull’obiettivo, contagiava come un’epidemia benefica centinaia, migliaia di imprenditori.
Poi, per carità: sono anche gli stati anni, o decenni, di sperequazioni e di ingiustizie, ma le basi poste allora per la grande industria manifatturiera italiana sono quelle che ancora oggi, per ciò che ne resta, trainano lo sviluppo. E che forse, se rispettate nel lodo essenziale dna, avrebbero evitato molti dispiaceri. Per esempio quelli legati all’eccessiva “finanziarizzazione” del sistema, o all’eccessiva dipendenza dalle banche, quella che oggi i grandi banchieri sono i primi a sconsigliare alle imprese.
Ebbene, debiti con le banche e mercato finanziario sono sempre state le due "bestie nere" di Marcegaglia: "Non voglio andare in Borsa perchè non potrei più fare tutti gli ammortamenti che voglio", ripeteva Steno, frenando i figli – Antonio ed Emma – che invece un pensiero per Piazza Affari l’hanno fatto più volte. "Ho sempre fatto tutti gli ammortamenti possibili: ordinari, anticipati ed accelerati. Ma se dovessi distribuire i dividendi sarei costretto a ridurre gli ammortamenti pagando molti soldi in più al fisco", spiegava Steno. E ancora: "Abbiamo un cash-flow molto alto che ci consente di ricorrere all'autofinanziamento. Le banche ci hanno offerto una linea di credito, poi non utilizzata, di 75 miliardi, al tasso Ribor più lo 0,125: é un tasso ottimo, inferiore al 6 per cento, meno di un dividendo". E infine: "Per non dire che anche andare sul mercato tedesco ottenendo il credito a meno del 4 per cento mentre le obbligazioni in Italia mi costerebbero il 7 per cento".
Idee chiare, non c’è che dire. Che Steno Marcegaglia ha sicuramente trasmesso ai figli, nella nitida ripartizione dei ruoli tra Antonio, che ha preso in mano la gestione dell’azienda, ed Emma, che si è dedicata alle relazioni istituzionali e internazionali fino a diventare presidente della Confindustria. Per loro oggi la perdita non è solo quella affettiva, immensa: ma è anche, ancora, una perdita professionale, perché Steno Marcegaglia era "sul pezzo" come sempre, e fino all’altro giorno in ufficio non era andato a scaldare la sedia ma a contribuire con grande lucidità a tutte le decisioni chiave. Non a caso, la caduta che gli è stata fatale gli è capitata uscendo dal lavoro. Una fine dolorosa, ma in carattere con tutta la sua vita.