Mps e i motivi degli aiuti di Stato
Antonveneta pagata troppo, la crisi dei derivati e del debito pubblico. E qualche colpe nella gestione ordinaria
Tra il 2008 e il 2010 gli Stati membri dell'Unione europea hanno erogato in totale 1600 miliardi di euro di aiuti di Stato alle banche, pari al 13% del Pil. Il 60% circa di questi aiuti sono stati spesi in Irlanda (25%), Regno Unito (18%) e Germania (15%). L'Italia ha emesso Tremonti Bonds (che poi sono aiuti di Stato per modo di dire, perchè sono in realtà obbligazioni stra-remunerative) per lo 0,3% del Pil. Niente.
Bisogna partire da questa realtà prima di infoiarsi nell'ovvia filippica contro la decisione del Monte dei Paschi di Siena di innalzare da 3,4 a 3,9 la nuova richiesta di Monti Bond (non più Tremonti bonds, ma sono più o meno la stessa cosa) necessari per ricondurre l'istituto entro i parametri patrimoniali pretesi dall'European banking autorithy (Eba). In effetti, questi titoli ibridi - computabili nel patrimonio di vigilanza Core Tier 1 - per 1,9 miliardi serviranno a sostituire integralmente i vecchi Tremonti bond, sottoscritti dal Tesoro nel 2009 e non ancora rimborsati.
L'operazione dovrà essere preventivamente autorizzata dalla Banca d'Italia – e ci mancherebbe che Visco negasse il suo ok! - e poi dalla Commissione di Bruxelles: e ci stra-mancherebbe che l'Europa, dopo aver lasciato che Germania e Gran Bretagna (ma anche Francia) facessero letteralmente “carne di porco” con i soldi pubblici per salvare le loro banche cariche di derivati tossici da scoppiare, si permettesse adesso di redarguire o bloccare noi.
Vero è che “chi si fa pecora il lupo se lo mangia”, e l'atteggiamento “a tappetino” del governo Monti nei confronti dei diktat tedeschi è talmente succube da esporci a ogni intemperia, ma d'altronde questa infinita docilità mostrata dal governo tecnico verso Berlino dovrebbe se non altro fruttarci la clemenza della corte... Insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Resta l'enigma di Siena, una banca un tempo dotata di una straordinaria forza patrimoniale e commerciale, ridottasi in una crisi che ha disarcionato, ormai, lo storico azionista di riferimento, la Fondazione, dalla maggioranza assoluta. «La senesità del Monte è già persa, adesso si tratta di impegnarci per cercare di recuperarla», aveva detto chiaro e tondo Alessandro Profumo, il neopresidente, nel corso di un recente dibattito... E il recupero transita per un piano industriale ambizioso che si prefigge di raggiungere nel 2015 una redditività del 7% avendo rimborsato quasi del tutto lo Stato.
Da cosa è dipeso il crollo del Monte? Sicuramente dal combinato disposto del salasso da 9,5 miliardi di euro deciso nel 2007 per comprare Antonveneta, seguito dalla crisi dei derivati, nel 2008, e da quella del debito sovrano nel 2011. Tre mazzate da far stramazzare un bisonte. E difatti... Antonveneta è stata strapagata, indubbiamente: è stata valutata un prezzo alto anche per quei tempi. Ma la strategicità dell'operazione era innegabile. La crisi dei derivati non ha colto in fallo il Monte, che non ne aveva in pancia, ma ha ammazzato per due anni i mercati finanziari; finchè a primavera del 2011, dopo una timida ripresa, l'esplosione del dramma del debito sovrano dei Piigs ha colpito in pieno gli attivi delle banche italiane, rimpinzate di Btp e vi ha generato perdite fittizie in quantità.
Fittizie, non reali, perchè le banche italiane i titoli di Stato li tengono in portafoglio fino a scadenza e non subiscono le minusvalenze del mercato secondario, ma i cervellotici critteri di Basilea 3, che non impongono di scontare le macroperite delle banche sui derivati, pretendono invece che vengano scontate in conto economico le perdite mark-to-market sui Btp: questo perchè quelle regole sono state dettate dalle banche angloamericane, a loro misura, nell'impotenza in certi casi connivente della Bce e della Commissione europea. E le banche angloamericane sono piene di derivati, non certo di Btp o di Bonos.
Nessuna colpa dunque per la gestione ordinaria del Monte? Altrochè! Tante colpe: crediti male amministrati, troppi costi. Un po' come tutte le altre banche italiane. Ma essere diventata la “pecora nera” di un gregge nel quale il più pulito – non tanto in Italia quanto soprattutto in Europa - ha una terribile rogna, francamente è una punizione esagerata.