Multe stradali, e se si pagassero in base al reddito?
La proposta è contenuta nel nuovo Codice della strada ed è stata lanciata dal sottosegretario D’Angelis
Sembra ormai inarrestabile il balletto di novità che riguarda il rapporto tra contribuenti e Stato. Come se non bastassero tutte le piccole ma significative innovazioni che da mesi stanno riguardando Imu, Tares, Iva e chi più ne ha più ne metta, ora una piccola rivoluzione potrebbe investire, è proprio il caso di dire, anche gli automobilisti alle prese con il pagamento di una multa stradale.
CONTRAVVENZIONI, ECCO COME SI FA A RISPARMIARE
Forse è noto a pochi infatti che in questo periodo nelle Commissioni parlamentari è in discussione il nuovo Codice della strada. Tra le altre cose si discute di come rendere più ragionevoli e meno vessatorie le contravvenzioni, soprattutto considerando l’aumento vertiginoso degli importi e la solerzia con cui da qualche anno Equitalia procede al suo recupero. Una spirale perversa che in molti casi ha rischiato di mandare a gambe all’aria i bilanci, già risicati, di molte famiglie.
EQUITALIA E MULTE, UN BINOMIO MICIDIALE
E allora ecco l’idea, venuta non a un parlamentare qualunque, ma ad Erasmo D’Angelis, membro del governo in qualità di sottosegretario ai Trasporti e alle Infrastrutture, di proporzionare l’entità delle multe stradali al reddito percepito dall’automobilista considerato indisciplinato. Dietro a questa proposta, il cui impatto sarà tutto da verificare, c’è un ragionamento ben preciso. “Le sanzioni per eccesso di velocità, causa principale degli incidenti stradali, – spiega infatti D’Angelis - crescono al crescere della velocità eccessiva rispetto alla norma, ma se sono uguali per tutti i cittadini non avranno lo stesso potere di deterrenza”.
Da qui dunque l’ovvia conseguenza che se l’importo delle multe venisse inasprito in maniera proporzionale al reddito del conducente, si otterrebbe appunto un effetto di deterrenza proporzionato per qualsiasi classe reddituale. Un modo come un altro, si potrebbe aggiungere, per vedere applicato praticamente il principio sulla capacità contributiva, espresso all’articolo 53 della nostra Costituzione, secondo il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
MULTE, QUANDO A RIMETTERCI SONO I SINDACI
Un ragionamento che ricalca in modo sorprendente quanto sostenuto, senza successo, da alcune forze politiche in merito al pagamento dell’Imu. Proprio per la tassa sugli immobili infatti, si era prospettato per qualche tempo l’idea che soggetti con un tenore di vita più alto potessero essere sottratti al beneficio della cancellazione della prima rata dell’imposta. Una proposta come noto caduta nel vuoto, ma che ha appunto riproposto nel nostro Paese per l’ennesima volta la discussione intorno al concetto secondo cui bisognerebbe contribuire alle spese statali in maniera proporzionale alle proprie risorse reddituali. Cosa che d'altronde sta accadendo nuovamente in queste ore, in seguito alla proposta di far pagare la Tares, la nuova tassa sui rifiuti, anch'essa in base all'Isee.
REDDITI, GLI EFFETTI DEL NUOVO ISEE
Peccato però che in Italia stabilire con certezza quanto effettivamente un singolo cittadino guadagni nel corso dell’anno sembra la cosa più complicata da rilevare, visto che da anni qualsiasi tentativo di richiamare criteri più equi di distribuzione del carico fiscale si sono infranti nel nulla. Facile prevedere allora che l’idea lanciata dal sottosegretario D’Angelis possa trasformarsi ancora una volta in una bolla di sapone, utile solo a finire nell’archivio delle buone intenzioni. Staremo a vedere.