Mustier e la maledizione dei "numeri uno"
Come Marchionne con Fca, il manager francese ha risanato Unicredit ed è alla ricerca della grande alleanza internazionale. Ma anche lui è poco amato in Italia
Forse il parallelo sembra azzardato, ma Jean Pierre Mustier sta diventando nel mondo bancario quello che Sergio Marchionne è stato nell’auto. Entrambi partono con un’azienda in gravi difficoltà e la rilanciano con un’operazione eccezionale: uno si prende Chrysler e Jeep gratis, l’altro porta a casa il più grande aumento di capitale nella storia di Piazza Affari (13 miliardi di euro) e abbatte una montagna di crediti deteriorati, i famosi Npl (non performing loan). Come Marchionne, l’amministratore delegato dell’Unicredit è un ottimo negoziatore di indiscussa integrità, e anche lui è stimato dalla comunità internazionale e dagli uomini della borsa per i risultati che ottiene tagliando costi, teste e sprechi. Ambedue, accentratori, capaci di una rudezza spiazzante con i collaboratori e per questo temuti dai manager. Ma alla fine guardati tutti e due con poca simpatia dai sindacati e da chi sta fuori dal mondo della finanza, vissuti come corpi estranei negli ambienti economici nazionali: Marchionne, l’italo-canadese, Mustier addirittura francese! E poi entrambi con una grande missione numero due incompiuta: la fusione tra Fca e un’altra casa automobilistica, a partire dalla General Motors, per il primo; il matrimonio con Société Générale o con Commerzbank per fare dell’Unicredit un leader paneuropeo, per il secondo.
Banca risanata
Mustier, 58 anni, già in Unicredit dal 2011 al 2015 come capo dell’Investment banking, è amministratore delegato del gruppo dal luglio 2016. Ha iniziato la sua carriera presso Société Générale, dove ha lavorato dal 1987 al 2009, operando principalmente nella divisione Corporate & Investment Banking. Che sia un ottimo manager lo dimostrano i numeri e i giudizi degli analisti: alleggerito di circa 20 miliardi di sofferenze e reduce da una pesante riduzione dei costi, ora ai livelli più bassi del sistema, e da una campagna di dismissioni da 7 miliardi, Unicredit ha chiuso il 2018 con un utile netto di 3,9 miliardi di euro, in aumento del 7,7 per cento rispetto all’esercizio precedente. Il livello degli Npl netti rispetto al totale dei crediti è intorno al 3,2 per cento, sotto la media delle banche italiane. E perfino quando incrocia sulla sua strada una grana come la multa da 1,2 miliardi di euro inflitta all’Unicredit dalle autorità americane per la violazione delle sanzioni Usa contro l’Iran (una vicenda che riguarda la controllata tedesca Hypovereinsbank e che risale al 2011, prima dell’avvento di Mustier), il manager stupisce la borsa rivelando di aver accantonato una cifra superiore: ora si liberano nuove risorse e il mercato festeggia.
Titolo poco brillante
Naturalmente non tutto ruota alla perfezione sul fronte finanziario: «L’istituto va bene, è solido dal punto di vista patrimoniale, non è più a rischio. Ma la redditività è ancora poco soddisfacente» commenta un analista specializzato in titoli bancari. «E ci aspetteremmo un aumento dei dividendi». Anche il titolo soffre, in un anno è sceso da 18 a 12 euro, appesantito dalle difficoltà di un settore alle prese con tassi bassi e congiuntura debole. Così oggi l’istituto milanese vale in borsa solo 28 miliardi, contro i 41 della “rivale” Intesa Sanpaolo. E all’orizzonte si profila la mazzata dell'Antitrust europeo, con una sanzione che potrebbe arrivare fino al 10 per cento del fatturato: Unicredit, insieme ad altre sette banche europee, avrebbe formato dal 2007 al 2012 un cartello per distorcere la concorrenza nel mercato dei titoli di Stato. Ma Mustier ha rassicurato gli azionisti: «Se voi sapeste quello che so io dareste alla vicenda il titolo di una commedia di Shakespeare che si chiama Molto rumore per nulla».
Sarà. Intanto il progetto di creare una grande banca paneuropea è finito nel freezer. Il mirino resta puntato su Commerzbank dopo la rinuncia alle nozze con Deutsche Bank. L’ipotesi è una fusione con la controllata tedesca dell’Unicredit, l’HypoVereinsbank. «Mustier ci punta molto, ma i tempi in Europa non sono maturi, ci vorrebbe una vera unione bancaria a livello continentale» sostiene off-record un ex top manager dell’Unicredit. «Dovrà invece concentrarsi sulla fase due, cioè sullo sviluppo della banca commerciale. Ma qui Mustier, uomo dalle grandi operazioni finanziarie, è meno forte». Dubbi condivisi dal sindacato, che ha visto quasi dimezzare i dipendenti italiani da 78 mila a 41 mila in una decina d’anni: «A furia di tagliare costi e chiudere filiali, Unicredit sta abbandonando il territorio, soprattutto nel Centro-Sud» riferisce un dirigente che preferisce non essere citato.
Certo non è facile per un banchiere d’affari dare sprint a una banca burocratica e poco avanzata in campo informatico come Unicredit. Anche dopo aver ridotto di un terzo i dirigenti da 1.500 a mille in tre anni (come fece Marchionne in Corso Marconi) e aver snellito il consiglio di amministrazione.
Cravatte rosse e alce svedese
Il clima tra il personale non è dei migliori: i manager si sentono precari, gli alti dirigenti vittima di un sistema quasi militare, dove vige una dura disciplina. All’inizio di quest’anno Mustier ha formato la squadra che si occuperà del piano strategico 2020-23 (verrà presentato a Londra il prossimo 3 dicembre): è formata da una dozzina di manager di cui ben sette stranieri (ormai in alcuni uffici del grattacielo di piazza Gae Aulenti si parla solo inglese) e alcuni in posizione duale, come Francesco Giordano e Olivier Khayat, entrambi a capo del commercial banking Europa Occidentale, o Gianfranco Bisagni e Niccolò Ubertalli, co-ceo del commercial banking Europa dell’Est. Un modello che sembra fatto apposta per impedire che un solo capo possa formare una propria squadra e minacciare in futuro l’amministratore delegato: divide et impera. Parallelamente Mustier è accusato di accentrare troppo potere: oltre a mantenere il controllo diretto di strategie, rischi, compliance, risorse umane, ottimizzazione della struttura dei costi e le principali attività operative, il manager francese ha assunto provvisoriamente anche la guida della funzione Finanza & controllo. Non solo. «All’inizio dell’anno Mustier ha fatto fuori il direttore generale Gianni Franco Papa, in banca dal 1979. Era l’ultimo dei mohicani» dice un manager della banca. E un banchiere aggiunge perfidamente: «A capo dell’Unicredit due carabinieri erano troppi». La nuova struttura manageriale ha creato malumori, provocando l’uscita di Giovanni Ronca, co-responsabile del commercial banking Italia e genero dell’ex ministro Elsa Fornero, che probabilmente sarà seguito presto da altri dirigenti.
La vendita dei quadri
All’esterno della banca, ha fatto storcere la bocca ad alcuni milanesi la decisione di vendere l'UniCredit Pavilion, l’auditorium di Piazza Aulenti che avrebbe anche un utilizzo pubblico. Così come non è piaciuta l’idea di cedere le opere d’arte del gruppo per finanziare progetti sociali. Ecco come l’ha commentata il sito Insideart: «Vendere 60 mila opere (o buona parte di queste) che rappresentano la storia, il sacrificio di tanti clienti e, in qualche modo, la stessa identità dell’istituto di credito, significa dimostrare una sensibilità umana prima ancora che culturale vicina allo zero e una visione imprenditoriale da piccola azienda… Una banca che dice si essere in gran spolvero e in piena fase di rilancio ha bisogno di vendere i gioielli di famiglia per finanziare progetti sociali?» Tutto il contrario di Intesa Sanpaolo che invece valorizza al massimo il proprio patrimonio culturale.
Insomma, Mustier ha salvato un colosso bancario dal baratro, ma come capitava a Marchionne, non gli vengono risparmiate le critiche. E se il maglioncino del manager Fca era giudicato spesso poco appropriato, così in Unicredit vengono mal digeriti gli inviti a usare la cravatta rossa rivolti ai dipendenti e la presenza quasi ossessiva di Elkette, l’alce di peluche scelto come mascotte portafortuna dalla svedese Louise Tingström, fedelissima consulente di comunicazione da 2 milioni di euro all’anno (secondo stime non confermate). Il manager francese è molto attento alla comunicazione e all’immagine. Che difende con cura e durezza, applicata anche ai fornitori esterni: quando sulla stampa estera comparve un articolo con informazioni riservate sull’Unicredit, dal quartier generale della banca partì un’insolita mail destinata ad alcuni fornitori che in sostanza minacciava di rompere il contratto se qualcuno si fosse azzardato a spifferare notizie ai giornalisti.
Del resto stiamo parlando in un uomo che quando lavorava alla Société Générale era capo di Jérome Kerviel, il trader sospettato di aver provocato una perdita da 5 miliardi di euro sui derivati. Bene: un sabato Kerviel venne messo sotto torchio per sette ore da Mustier, un “colloquio” così energico che un medico fu chiamato per monitorare lo stress mentale del trader. Kerviel confessò, fu arrestato, processato e condannato a cinque anni di prigione. Ebbe la sfortuna di avere come capo uno che, prima di entrare in finanza, si era fatto le ossa tra i parà.