Nouriel Roubini: Mi chiamo Dottor Catastrofe. Se volete salvarvi, tenetevi Monti
L'economista detta la sua ricetta per uscire dalla crisi: la condivisione del debito e mantenere il governo attuale
Da quando le sue profezie di sventure economiche hanno preso ad avverarsi, Nouriel Roubini s’è trovato addosso diversi soprannomi, non proprio fausti: «Cassandra» e «Permabear» (colui che è sempre negativo nei confronti dell’andamento del mercato) erano i primi tentativi di definire questo Nostradamus dei collassi economici, infine è arrivato «Dottor Doom», il Dottor Catastrofe, ovvero l’economista che aveva previsto il grande pasticcio dell’economia globale mentre gli altri osservatori si sollazzavano con previsioni di eterna prosperità, o quasi.
Nel 2006 il famoso economista, nato in Turchia, laureato alla Bocconi e poi approdato nelle stanze più esclusive dell’economia mondiale (ora è professore alla New York University e il 21 settembre sarà in provincia di Udine per ricevere il premio Costruire la pace organizzato dall’azienda Pilosio), si era messo al capezzale del mercato immobiliare e, come un medico, aveva indovinato nei suoi occhi i segni di una malattia mortale. Una malattia che a partire dal mattone avrebbe potuto contagiare l’intero sistema economico.
«Allora era una Cassandra, ora è un saggio» ha scritto la rivista economica Forbes nel 2008, all’indomani dell’esplosione della grande crisi finanziaria, quando gli analisti erano alla ricerca di un capro espiatorio e gli operatori finanziari tentavano di salvare il salvabile. Il soprannome, però, è un affare che al diretto interessato non potrebbe essere più indifferente. La voce che arriva dal suo ufficio di New York è severa almeno quanto la situazione economica globale e alla domanda su come ci si sente a essere chiamati Dottor Catastrofe risponde serafico: «Se qualcuno vuole chiamarmi così, sono fatti suoi, non ho mai dato molta importanza ai soprannomi. È vero, tendo a sottolineare gli aspettavi negativi, ma baso le mie considerazioni sull’analisi dei dati, prendendo seriamente in considerazione i rischi. E una volta fatta l’analisi bisogna fare proposte costruttive».
Rimaniamo sull’aspetto costruttivo, dunque. La settimana è stata disastrosa sui mercati e l’incubo dello spread è tornato più reale che mai, senza contare le voci che vogliono l’Unione Europea sull’orlo del baratro, le banche spagnole dissestate, il collasso greco.
Come se ne esce?
Innanzitutto vorrei ricordare che la crisi è globale. La zona euro rappresenta soltanto la parte più critica di uno scenario che coinvolge gli Stati Uniti ma anche i mercati emergenti in crisi e, per esempio, minacce geopolitiche importanti come la proliferazione nucleare dell’Iran. Io credo che per l’Europa ci sia soltanto una via: creare un’unione più solida, un’unione bancaria che permetta di condividere i debiti e difendere la moneta unica. Per farlo, però, serve un’unione politica forte, proprio la cosa che non è mai stata fatta.
Alternative?
La disintegrazione dell’euro, ovvero un disastro. Se l’uscita controllata di una piccola economia come quella della Grecia può causare gravi danni, figurarsi l’uscita repentina di economie come quella dell’Italia o della Spagna. No, il break up non è un’opzione praticabile.
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, in un’intervista a «Le Monde» ha auspicato un rafforzamento della Ue. Come giudica il suo lavoro a Francoforte?
Rispetto molto Draghi e lo considero un buon presidente della Bce, sicuramente meglio di Jean-Claude Trichet. Credo che sia l’unico che possa convincere la Germania ad aiutare le economie dei singoli paesi e a rendere l’istituzione di Francoforte un ponte verso qualcosa, e non un ponte verso il nulla come è stata a lungo.
Verso cosa, esattamente?
Verso una condivisione del debito. Il punto è che politicamente non si possono pretendere subito gli eurobond, e tanto meno si può pensare che la Germania accetti in qualche modo di riformare la Bce per renderla più simile alla Fed. Quello che si può fare è aiutare Draghi ad aggirare con strumenti accettabili la rigidità istituzionale della Bce.
L’Italia è assalita dalla speculazione dei mercati e sempre più declassata. Ma ha speranze di risollevarsi?
La situazione italiana è complicata, perché ha già perso una parte di accesso ai mercati e questo spread è insostenibile, ma uscire non è impossibile. Servono decisioni forti di politica economica, orientate esclusivamente alla crescita, almeno nel breve periodo. La disciplina fiscale è una misura necessaria da mettere in cantiere, ma nell’immediato occorre crescere per non finire nelle mani della troika Fmi-Bce-Ue.
Mario Monti è l’uomo giusto per questo?
Monti è l’unico in Italia in grado di farlo, anche se mi pare gli manchi il sostegno politico interno di cui avrebbe bisogno, soprattutto a destra. Poi, naturalmente, occorre che la Germania accetti un compromesso sulla questione della disciplina fiscale, cosa sulla quale non scommetterei, tuttavia chi può mettere l’Italia sulla strada giusta è Monti. Oppure una dottrina Monti senza Monti.
L’Europa dominata da Angela Merkel ha inaugurato il ben noto paradigma dell’austerità nello stesso momento in cui l’America pompava centinaia di miliardi nel sistema per stimolarlo, seguendo la dottrina keynesiana. Anche l’America, però, non è uscita dalla depressione. Come giudica i due approcci?
Gli americani hanno messo in circolo 800 miliardi di dollari e ora si ritrovano con una crescita del 2 per cento, mentre in Europa il segno negativo domina: è assurdo giudicare quello americano un fallimento. Il modello europeo, invece, ha mostrato tutto il suo potere autodistruttivo e le resistenze della Germania a rendere l’Europa una vera unione monetaria e politica, condividendo le responsabilità e non solo affermando la propria superiorità, sono l’esempio perfetto di questa logica perversa. Perché alla fine i tedeschi saranno i primi a pagare la loro ossessione per la disciplina, anche se quello che sperano di ottenere è una cessione di sovranità fiscale da parte di stati membri troppo deboli per potersi salvare da soli. Serve una mano tesa dei tedeschi, è vero, ma anche un impegno serio per crescere.