giorgia meloni
(Ansa)
Economia

Col nuovo Patto di Stabilità l’Italia guadagna tempo ma dovrà crescere di più

La battaglia con l'Europa si chiude con un pareggio calcistico e con diversi compiti da fare

“Ha vinto il buon senso”. Con questa parole la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato l’accordo raggiunto mercoledì 20 dicembre tra i ministri economici dell’Ue sul nuovo patto di stabilità. E in linea di massima si può essere d’accordo con lei, tenendo conto che il condominio Europa è un insieme di Paesi con situazioni economiche e fiscali molto diverse e il compromesso è inevitabile. Di sicuro il quadro per l’Italia è miglioranto rispetto al patto mandato in soffitta.

Di che cosa parliamo

Il patto di stabilità e crescita venne sottoscritto nella sua prima versione nel 1997 ad Amsterdam dagli Stati membri dell'Unione europea, e riguarda il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione economica e monetaria dell'Unione europea (Eurozona) e rafforzare il percorso d'integrazione monetaria avviato nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht. Il documento fissa una serie di regole ed è stato modificato nel 2011. Il suo fulcro ruota sempre intorno a due parametri: non superare il 3% di rapporto tra deficit e Pil e non superare il rapporto del 60% tra debito e Pil (l’Italia viaggia oltre il 140%).

La sua penultima versione, un po’ cervellotica, si è dovuta arrendere davanti alla crisi provocata dalla pandemia di Covid, che ha costretto tutti i Paesi dell’Unione ad aumentare deficit e debito per affrontare spese mediche e aiuti alle imprese.

Nel 2024 il patto sarebbe dovuto tornare in vigore ma giustamente i governi europei hanno deciso di modificarlo e renderlo meno rigido: una linea quest’ultima sostenuta naturalmente dall’Italia con l’appoggio della Francia.

Ecco che cosa prevede il nuovo patto:

Deficit-Pil

Quando il deficit eccessivo supera il tetto del 3% l'aggiustamento annuo richiesto è dello 0,5% del Pil in termini strutturali. L'accordo prevede però che il ritmo della correzione tenga conto dell'aumento della spesa per interessi al fine di non bloccare gli investimenti più urgenti. I Paesi con un rapporto debito-Pil superiore al 90% dovranno far scendere il livello del disavanzo all'1,5%. Per farlo servirà un aggiustamento strutturale annuo dello 0,4% per quattro anni o dello 0,25% in sette anni, calcolato al netto degli interessi sul debito con l'impegno del Paese a fare investimenti e riforme.

Debito-Pil

Il debito pubblico dovrà ridursi dell'1% all’anno per i Paesi che superano la soglia di un rapporto debito-Pil del 90% e dello 0,5% annuo per chi lo ha tra il 60 e il 90% del Pil. C’è però un periodo transitorio: tra il 2025 e il 2027 la Commissione europea, nello stabilire il percorso di risanamento dei conti, terrà conto degli oneri degli interessi sul debito sempre con l'obiettivo di lasciare ai Paesi spazio per gli investimenti. I piani di aggiustamento dei conti pubblici sono quadriennali (non più verificati annualmente) e all'insegna della flessibilità potranno essere estesi a sette anni tenendo conto degli sforzi di investimento e riforma compiuti dai governi per attuare i Pnrr. Inoltre è prevista la possibilità di uno sforamento dello 0,3% rispetto al piano concordato.

La proposta sarà valutata dal Parlamento Europeo, ma a meno di sorprese ci si aspetta che sarà approvata in via definitiva nei primi mesi del 2024. Poi cominceranno i dialoghi a tre tra Consiglio, Commissione e Parlamento. Le nuove regole arriveranno a giugno, dopo le elezioni europee.

Compromesso

In estrema sintesi si può dire che il nuovo patto accontenta i Paesi frugali del Nord Europa, mantenendo obiettivi quantitativi. "Le nuove regole di bilancio per i Paesi membri dell'Ue sono più realistiche ed efficaci allo stesso tempo. Combinano cifre chiare per deficit inferiori e rapporti debito-Pil in calo con incentivi per investimenti e riforme strutturali. La politica di stabilità è stata rafforzata” ha commentato infatti il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, dopo l'accordo all'Ecofin sulla riforma del Patto di stabilità.

Ma ai Paesi più indebitati vengono concesse due novità importanti: maggiore autonomia e maggiore flessibilità per evitare che il risanamento dei conti si trasformi in austerità, blocco degli investimenti e rallentamento della crescita. In altre parole, Roma non verrà valutata anno per anno dalla Commissione ma potrà concordare un piano individuale di riduzione del debito in quattro anni, prorogabile fino a sette, con obiettivi spalmabili nel tempo a seconda del contesto politico ed economico del momento.

Un bel risultato, tutto sommato. In particolare l’Italia ha ottenuto sia la possibilità di spalmare la riduzione del debito su più anni, sia la possibilità di scorporare il pagamento sugli interessi del debito da tutti questi calcoli fino al 2027. Una misura, quest’ultima, che secondo il Financial Times è stata chiesta esplicitamente dalla Francia. E che fa comodo al governo Meloni. Un altro buon risusltato è che gli investimenti per la difesa siano stati considerati fattore rilevante per l'esclusione dal calcolo degli obiettivi di bilancio.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato infatti che “Consideriamo positivo il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l'aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027".

Crescere di più

Certo, tagliare il debito dell’un per cento all’anno non sarà facile per l’Italia. L’economia italiana deve crescere di più per ridurre il rapporto con il debito ma anche le ultime previsioni non sono incoraggianti: il governo stima una crescita del Pil dell’1,2% mentre l’Europa prevede per il nostro Paese un più modesto più 0,9% , l’Istat indica un più 0,7% e Bankitalia lo 0,6%. Troppo poco. Nei prossimi anni dobbiamo assolutamente accelerare altrimenti alla fine del quadriennio di grazie saremo di nuovo a rischio di dure manovre correttive.

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Guido Fontanelli