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(Ansa)
Economia

Torna la corsa all'oro. E non è un bel segnale per l'economia mondiale

Prezzo in forte rialzo per il prezioso metallo ricercato non solo dai risparmiatori come bene rifugio ma anche dalle banche centrali

L’oro luccica come non mai. Ma dietro questa corsa c’è ben più dell’incertezza geopolitica dovuta alla guerra in Medioriente. C’è una volontà, economica e politica, di spodestare il dollaro dal suo trono. La dedollarizzazione, bandiera della Cina e del blocco Brics, sta giocando la sua parte, insieme alla volatilità dei mercati e al bisogno di diversificare delle Banche centrali.

Nelle ultime settimane il prezzo del metallo prezioso per eccellenza ha superato più volte la soglia dei 2mila dollari l’oncia (era da luglio che non succedeva). In tre settimane, dal 7 ottobre con lo scoppio della guerra in Medioriente, le quotazioni hanno guadagnato circa il 10%. Un rialzo record, che ha coinciso con un leggero aumento dei rendimenti per il Treasury decennale. Cosa che di solito non favorisce l’aumento del prezzo dell’oro. È chiaro che l’incertezza geopolitica (soprattutto il timore di un allargamento del conflitto) porti alla corsa all’oro, bene rifugio per eccellenza.

Ma un apprezzamento a questi livelli non si spiega solo con la ricerca di beni rifugio causa guerra.

Ci sono anche altri motivi. Il primo si chiama accaparramento delle Banche centrali. Nei primi nove mesi dell’anno hanno comprato 800 tonnellate di oro, pari a +14% rispetto al 2022 (dati World Gold Council). Sono dieci anni che le banche centrali di tutto il mondo continuano a comprare a pieno ritmo, alimentando quindi una forte domanda. E oltre ad acquistare più oro di quanto ne vendano in molte stanno riportando “a casa” le riserve auree conservate all’estero. E all’aumento di domanda ha corrisposto un incremento dell’offerta: il Wgc parla di possibile record annuale nel 2023, siamo a 2.744 tonnellate.

Tra i protagonisti principali negli acquisti di metallo giallo c’è la Banca centrale della Cina (+78 tonnellate). A seguire Polonia (+57t), Turchia (+ 39t) e India (+9t). I Paesi, quindi, continuano ad aggiungere oro alle proprie riserve, le Banche centrali a sostenere il mercato dell’oro e i produttori a fare il proprio mestiere, tanto che si prevede che la produzione arriverà a oltre mille tonnellate entro fine anno. E l’effetto è il rialzo del prezzo.

Perché questo accumulo delle riserve auree? Sicuramente dietro la scelta delle Banche centrali c’è la volontà di diversificare dal dollaro e “coprirsi” contro la volatilità dei mercati. Ma in molti casi, soprattutto per i Paesi non occidentali, è una scelta non solo economica, ma anche politica. L’oro è il vero concorrente del dollaro, come strumento di riserva. Aumentare le riserve in oro significa ridurre quelle in dollari. A inizio secolo il biglietto verde rappresentava il 70% delle riserve, a fine 2022 era al 60%. Il caso Russia ha dato un’ulteriore spinta ai Paesi più propensi al trovare l’alternativa alla moneta statunitense. Il congelamento degli asset in dollari di Mosca ha spinto molti Paesi a buttarsi su alternative meno vulnerabili a possibili sanzioni economiche. Ecco la corsa all’oro. La dedollarizzazione, bandiera della Cina e del blocco Brics, passa anche di qui.

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Cristina Colli