Paesi ex comunisti, Albania, Estonia e Polonia le economie che vanno meglio
Uzbekistan, Kazakistan e Azerbaigian si sono arricchiti grazie alle risorse, Bielorussia e Armenia hanno fatto passi avanti ma non sono democrazie
A venticinque anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino, è forse giunto il momento di chiedersi se, nel 1989, con il Muro è crollato anche il resto della cortina di ferro, e se tutte le economie dell'Est che hanno cercato di adeguarsi agli standard più occidentali di concorrenza e libero mercato hanno ottenuto i risultati sperati.
Per rispondere a questa domanda, Branko Milanovic, economista americano originario della Serbia e specializzato in crescita, sviluppo e gestione delle disuguaglianze, ha diviso i paesi orientali in quattro categorie: quelli che hanno miseramente fallito, vale a dire quelli in cui lo sviluppo "vero" non è mai arrivato; quelli che sono cresciuti, anche se molto lentamente, e si sono assestati su tassi di sviluppo leggermente inferiori alla media dei paesi Ocse, quindi mai superiori all'1,7 per cento; quelli che hanno cercato di allineare i propri parametri a quelli delle nazioni più ricche, registrando tassi di crescita compresi tra l'1,7 e il 2 per cento; e quelli "virtuosi" che, per venticinque anni consecutivi, sono riusciti a mantenersi al di sopra del tetto del 2 per cento. Dopo aver ricordato che, in fin dei conti, anche una crescita del 2 per cento non è poi così eccezionale, lo studioso americano ha spiegato che, par facilitare i confronti tra i vari paesi, i calcoli sono stati adeguati alla parità del potere di acquisto.
Transizione fallita
Gli stati in cui la transizione verso l'economia di mercato può essere considerata fallita sono sette: Tajikistan, Moldova, Ucraina, Kyrgyzstan, Georgia, Bosnia e Serbia. Gli ottanta milioni di cittadini che abitano in questi paesi non sono ancora riusciti a raggiungere i livelli di reddito che li contraddistinguevano alla vigilia della caduta del Muro, ne' riusciranno a farlo nei prossimo 50 anni. Non si conta il numero di generazioni perdute all'interno dei loro confini, e con le pessime prospettive che si ritrovano, rischiano di non risollevarsi mai più.
Per Macedonia, Croazia, Russia e Ungheria si può parlare di fallimento relativo: non sono in condizioni disperate ma, dati alla mano, negli ultimi venticinque anni il Pil pro capite è cresciuto a una media dell'1 per cento. Troppo poco per parlare di progresso e prosperità.
Solo una persona su dieci nei paesi in transizione è riuscita a vedere la fine di questo processo
Transizione (quasi) riuscita
Numerosi passi avanti sono stati invece fatti in Slovenia, Turkmenistan, Repubblica Ceca, Lituania e Romania, che hanno permesso a 40 milioni di persone di vedere aumentare il proprio reddito a ritmi compresi tra l'1,7 e l'1,9 per cento annuo.
Le dodici nazioni virtuose, invece, sono Uzbekistan, Lettonia, Bulgaria, Slovacchia, Kazakistan, Azerbaigian, Estonia, Mongolia, Armenia, Bielorussia, Polonia e Albania. 120 milioni di abitanti la cui ricchezza è cresciuta a tassi compresi tra il 2 e il 4 per cento. Se Uzbekistan, Lettonia, Bulgaria, Slovacchia, Kazakistan non hanno superato il tetto del 2,5 per cento, Azerbaigian, Estonia, Mongolia, Armenia si sono assestati sul tre, gli altri al di sopra del 3,5 per cento.
Escludendo Uzbekistan, Kazakistan e Azerbaigian, che si sono arricchiti solo grazie alle risorse, i paesi che hanno completato con successo la transizione dal comunismo al capitalismo sono solo cinque: Albania, Polonia, Bielorussia, Armenia ed Estonia. Infine, se invece di considerare il tasso di crescita come unica variabile rilevante prendiamo in considerazione anche il livello di disuguaglianza, quest'ultima è cresciuta moltissimo in Russia, Estonia, Lettonia, Lituania e Georgia. L'aumento di dieci punti di questi paesi è più o meno equivalente a quello registrato negli Stati Uniti negli ultimi 35 anni. La disuguaglianza è cresciuta anche in Asia Centrale, anche se non disponiamo di dati abbastanza affidabili per calcolare quanto, e solo in Europa il valore è stato tenuto sotto controllo.
L'economista americano ritiene infine che anche Bielorussia e Armenia vadano esclusi dal club dei virtuosi. Il motivo? Non sono democrazie. Questo significa che solo una persona su dieci nei paesi in transizione è riuscita a vedere la fine di questo processo. Per tutti gli altri, il Muro non è mai crollato.