Pensioni e Ape, perché l'assegno rischia di essere troppo basso
Chi avrebbe maturato mille euro di rendita a 66 anni, ritirandosi a 63 anni ne prenderà solo 700. Ecco il costo salato del riposo in anticipo
Un esempio concreto, conti alla mano, è contenuto dentro l'ultimo Rapporto sullo Stato Sociale 2017 dell'economista Felice Roberto Pizzuti, che lo ha presentato nei giorni scorsi all'Università La Sapienza di Roma. Per chi ha maturato una pensione attorno a mille euro al mese e si congeda dal lavoro a 63 anni di età anziché a 66 e 7 mesi (come prevede oggi la legge Fornero), l'assegno dell'Inps si riduce di ben il 30%, scendendo così a 700 euro. Per molti lavoratori ci sarà dunque ben poca convenienza nell'aderire all'Ape (anticipo pensionistico), cioè il sistema ideato dal governo Renzi che permette di mettersi a riposo un po' prima del previsto.
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C'è infatti il rischio che con l'Ape molti italiani ricevano un assegno “da fame” o comunque troppo basso per affrontare in condizione serene la terza età. A ben guardare, Pizzuti si riferiva per lo più all'Ape Volontaria, cioè all'anticipo pensionistico che si ottiene su apposita domanda, facendo richiesta di un finanziamento bancario attraverso l'Inps. Non va dimenticato, però, che esiste anche l'Ape Social, cioè un sistema che consente di mettersi a riposo dal lavoro a 63 anni, ma senza penalizzazioni. Il Rapporto dell'Università Sapienza, tuttavia, ricorda che l'accesso all'Ape social è comunque consentito a una platea ristretta di lavoratori, per esempio a chi è rimasto disoccupato in tarda età o ha svolto mestieri usuranti.
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Chi non rientra in certe categorie “protette” e aderisce all'Ape Volontaria, invece, subisce un taglio di oltre il 4-5% all'assegno Inps "pieno", per ogni anno che separa la data effettiva del pensionamento dal compimento dei 66 anni e 7 mesi (cioè il requisito previsto dalla Legge Fornero). Di conseguenza, secondo Pizzuti, anche una misura come l'Ape non sembra adeguata a “fronteggiare il problema strutturale del nostro sistema pensionistico, cioè la trasformazione in una estesa schiera di pensionati poveri dei tanti lavoratori odierni che stanno sperimentando salari bassi e discontinui”. Neppure i fondi della previdenza complementare, secondo l'economista de La Sapienza, saranno in grado di colmare tale lacuna.
Questi prodotti finanziari, che hanno il compito di costruire una rendita privata e integrativa delle sempre più magre pensioni pubbliche, premiano infatti soprattutto i lavoratori con stipendi alti, i quali hanno la possibilità di accantonare molti soldi in vista della terza età. Chi ha un “salario da fame”, invece, anche con la previdenza integrativa riesce a fare poco o nulla.