Pensioni d'oro, perché tagliarle è difficile
La maggioranza Lega-5Stelle vuole decurtare gli assegni sopra i 4mila euro netti. Ma rastrellerà pochi soldi
Il Disegno di Legge (Ddl) c'è già e contiene pochi articoli. E' quello con cui la maggioranza Lega-5Stelle taglierà le pensioni d'oro, cioè gli assegni Inps superiori a circa 3.900 euro netti al mese. All'inizio l'obiettivo era di risparmiare con queste misure ben 1 miliardo di euro all'anno poi, man mano che il Ddl ha preso corpo, la stima più accreditata è scesa a poco pù di 300 milioni. Per quale motivo? La ragione è innanzitutto che le cosiddette pensioni d'oro sono poche e sono già pesantemente tassate dal fisco.
Risparmi sulla carta
Va infatti ricordato che una rendita pensionistica di 3.900 euro netti al mese corrisponde a un assegno lordo molto alto, pari a quasi 7mila euro mensili, per un totale di più di 80mila euro lordi all’anno. Gli italiani che hanno una pensione così alta, secondo le stime della società di ricerca Itinerari Previdenziali, sono in totale 58mila e costano alle casse dello stato circa 7 miliardi di euro.
Per ottenere un miliardo di euro di risparmi, dunque gli assegni d’oro dovrebbero in teoria essere decurtati in media di almeno un il 15% del loro importo. Peccato, però, che i pensionati ricchi paghino sulle loro rendite un mucchio di tasse, essendo soggetti a un’aliquota irpef che si aggira sul 40%. Se il governo taglia i loro redditi, deve dunque rinunciare a incassare un bel po’ di entrate fiscali. Il che vanifica in gran parte i potenziali risparmi ottenibili.
Calcoli difficili
Ma c’è poi un altro aspetto da considerare. L'obiettivo della maggioranza è tagliare gli assegni di importo troppo elevato rispetto ai contributi versati. Ma come si fa a capire quali sono queste pensioni? Già negli anni scorsi, il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva avanzato l’idea di fare un ricalcolo contributivo di tutti gli assegni per scovare le rendite immeritate. Gran parte delle persone che oggi sono a riposo, infatti, ricevono una pensione determinata in base al vantaggioso metodo retributivo, cioè in proporzione agli ultimi stipendi percepiti prima di congedarsi dal lavoro e non in base a quanto hanno versato all’Inps nel corso della carriera.
Il guaio è che per molti lavoratori il ricalcolo contributivo è difficile da fare, se non impossibile, perché non si può ricostruire con esattezza i loro versamenti. Questa considerazione vale soprattutto per gli impiegati pubblici che per molti anni non hanno avuto un istituto previdenziale come l’Inps. Le loro pensioni erano infatti a carico dei bilanci degli stessi enti per i quali avevano lavorato, che non accantonavano contributi ad hoc per ogni singolo dipendente ma, più semplicemente, inserivano gli assegni pensionistici nel calderone dei loro bilanci. Per superare questo ostacolo, il disegno di legge presentato in Parlamento ha usato una sorta di escamotage, stabilendo che i tagli agli assegni verranno determinati con un meccanismo di calcolo un po' complicato che penalizza chi, nei decenni passati, oltre a percepire una rendita calcolata con il metodo retributivo, si è ritirato dal lavoro in età meno avanzata.
Stipendi alti, pensione più bassa
C’è però aspetto importante da considerare. Non è detto che le cosiddette pensioni d’oro siano sempre sproporzionate rispetto ai contributi versati. Anzi. A causa un meccanismo un po’ complicato che sta alla base del vecchio metodo retributivo, infatti, chi è andato in pensione con stipendi molto alti riceve dall’Inps un assegno proporzionale soltanto a una parte degli ultimi redditi, non all’intera cifra che guadagnava prima di mettersi a riposo.
Il vecchio metodo retributivo, insomma, ha avvantaggiato chi aveva gli stipendi medi, più che i lavoratori con paghe elevate, i quali invece sono stati addirittura penalizzati da questo sistema. Per questo, il disegno di legge messo in cantiere dalla maggioranza di governo porterà nelle casse dello stato qualche centinaia di milioni di euro.