Pensioni e quota 100, perché si perde oltre il 20% dell’assegno
Dal 2019 sarà possibile ritirarsi a 62 anni con 38 anni di contributi. Ma bisognerà accontentarsi di una rendita più magra
In pensione prima ma con un assegno più magro. E’ la prospettiva che attende chi si ritirerà dal lavoro con la quota 100, un sistema appena introdotto dal governo che presto consentirà di mettersi a riposo con 62 anni di età e 38 di contributi. Si tratta di requisiti molto più generosi rispetto alle regole della Legge Fornero, in vigore fino a quest’anno, che consentono di congedarsi dal lavoro a 67 anni di età o con 42 anni e 10 mesi di contributi. Questa uscita anticipata, però, comporta appunto dei sacrifici perché fa scendere del 21% l’importo dell’assegno, rispetto a quello che sarebbe maturato mantenendo in vigore la legge attuale.
I calcoli di Boeri
I calcoli li ha fatti il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che è intervenuto in un’ audizione alla Camera facendo alcuni esempi concreti. Nel caso di un dipendente pubblico che guadagna 40mila euro lordi, l’uscita dal lavoro a 62 anni anziché a 67 comporta un taglio all’assegno di 500 euro mensili, che corrispondo appunto al 20% circa della rendita. Ma perché bastano pochi anni di anticipo della pensione per avere un taglio così consistente?
Tutto dipende dal fatto che dal 1995, quando era in carica il governo Dini, nel sistema previdenziale italiano è entrato progressivamente in vigore il metodo contributivo, in base al quale l’importo dell’assegno pensionistico dipende dalla quantità di contributi versati e non più, com’era prima, dalla media degli ultimi stipendi percepiti prima di mettersi a riposo. Più contributi si versa, più alta sarà la rendita. Al contrario, prima si va in pensione, più basso sarà l’assegno.
Meno contributi, assegno più magro
E’ proprio ciò che accadrà a chi intende mettersi a riposo a 62 anni anziché a 67. Se un lavoratore guadagna 40mila euro all’anno come nell’esempio citato da Boeri, andando in pensione 5 anni prima rinuncerà ad accumulare più di 13mila euro di contributi ogni 12 mesi, per un totale di oltre 65mila euro. I maggiori versamenti avrebbero fatto crescere l’importo della pensione di diverse centinaia di euro al mese, come ha spiegato appunto il presidente dell’Inps. Nessun pasto è gratis, insomma, neppure nella nuova previdenza voluta dal governo Lega-5Stelle.
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