Perché Coca Cola dichiara guerra a Starbucks
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Economia

Perché Coca Cola dichiara guerra a Starbucks

Il colosso di Atlanta, che negli scorsi anni ha dichiarato guerra allo zucchero, vuole entrare nel mercato delle bevande calde e rafforzarsi in Cina

Si è aperta una nuova stagione di acquisizioni nel mercato mondiale delle bevande analcoliche. L'ultima è quella messa a segno da Coca Cola che il 31 agosto a sorpresa ha annunciato un affare da 5,1 miliardi di dollari (4,4 miliardi di euro) per mettere le mani su Costa Coffee, la seconda catena più grande al mondo di caffè dietro Starbucks.

Chi controlla Costa Coffee

Costa Coffee conta oltre 3.400 punti vendita in 31 paesi (ma non in Italia) ed è controllata dalla multinazionale britannica Whitbread che aveva già nei piani la dismissione della divisione e che ha accettato di vendere prima del previsto la catena di negozi di caffè a fronte di un prezzo che è addirittura 16 volte più alto dei guadagni lordi realizzati quest'anno. Insomma, un affarone per il gruppo inglese che possiede anche catene di pub, ristoranti e hotel (la catena Premier Inn). L'operazione dovrebbe completarsi entro la prima metà del 2019.

La strategia del gruppo di Atlanta

James Quincey, ceo di Coca Cola, ha detto che il settore delle bevande calde (un mercato da 1,5 trilioni di dollari) è uno dei pochi segmenti del beverage dove il gruppo di Atlanta non può contare ancora su un forte brand. Grazie a Costa Coffe, infatti, Coca Cola accede direttamente al secondo posto dietro a Starbucks che recentemente si è alleato con l'elvetica Nestlè.

Forbes fa notare che l'acquisizione permette al gruppo di Atlanta di entrare sul mercato cinese, dove Costa Coffee conta oltre 450 punti vendita, e di farsi spazio in un segmento di prodotti molto apprezzati dai consumatori. Inoltre, sui soft drink (0,8 trilioni di dollari il giro d'affari a livello mondiale) pesa un trattamento fiscale sfavorevole in alcuni paesi.

La svolta salutista

Negli scorsi anni, infatti, sia Coca Cola sia la rivale Pepsi avevano intensificato le attività di lobby per contrastare decine di proposte di legge mirate a ridurre il consumo di bibite gassate (anche in Italia nel 2012 il governo Monti aveva pensato a una mini-tassa di 3 centesimi). Nel 2016 era scesa in campo l'Organizzazione mondiale della sanità, invitando i governi ad aumentare del 20 per cento le tasse sulle bevande zuccherate per combattere obesità e diabete.

Così i due colossi hanno deciso di cambiare strategia: piuttosto che lo scontro frontale con autorità e Oms, hanno preferito dichiarare loro stesse guerra allo zucchero, ampliando la gamma con bibite "zero calorie" e "zero zuccheri" e cercando di aprirsi un varco in altri segmenti di mercato considerati più salutari o a forte crescita.

Le mosse di Pepsi

L'operazione Costa Coffee, infatti, segue quella della Pepsi che il 20 agosto ha deciso di pagare 3,2 miliardi di dollari per comprare il più grande produttore al mondo di gasatori per acqua ad uso domestico, l'israeliana SodaStream. Questa acquisizione è a sua volta una risposta a una precedente mossa della Coca Cola, che poche settimane prima aveva deciso di entrare con una quota di minoranza in BodyArmor, un noto produttore di bevande sportive che vanta tra i suoi investitori anche l'ex giocatore dei L.A. Lakers, Kobe Bryant.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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