Petrolio: gli effetti sui prezzi dopo le prove di intesa Russia - Arabia Saudita
Greggio in risalita dopo le ultime dichiarazioni dei ministri dei due paesi che potrebbero collaborare sullo sviluppo dell'energia atomica
Le prove di intesa tra Russia e Arabia Saudita negli ultimi giorni hanno contribuito, assieme alle ultime dichiarazioni del ministro dell'Energia saudita, a invertire la rotta dei prezzi del greggio che erano crollati sotto i 40 dollari ai primi di agosto, facendoli tornare con un rialzo di oltre il 30% in due settimane ben oltre i 45 dollari. I due benchmark del mercato, il WTI Crude Oil e il Brent, hanno chiuso ieri, giovedì 17 agosto, in positivo sfiorando rispettivamente i 47 dollari e i 50 dollari.
I corsi del barile di petrolio, che a inizio anno hanno toccato i minimi dal 2003 sotto i 30 dollari, avevano recuperto nei mesi successivi per poi tornare di nuovo a scendere a fine primavera, dopo il fallimento a metà aprile del vertice di Doha dell'Opec con il mancato accordo tra i due storici fondatori, Iran e Arabia Saudita, sul congelamento della produzione.
Sarà decisivo il prossimo meeting, in preparazione tra il 26 e il 28 settembre ad Algeri, a margine dell'International Energy Forum; un incontro fortemente voluto dal Venezuela, altro paese fondatore dell'Opec (gli altri due membri storici sono Kuwait e Iraq) sull'orlo ormai del crac, ed Ecuador per rilanciare i prezzi del greggio.
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I fattori in gioco
È una partita, insomma, che si gioca su più scacchiere quella che determinerà i prezzi del petrolio nei prossimi mesi, anche se un accordo tra il numero uno della produzione mondiale di greggio (la Russia, che è un paese non Opec) e il numero due (l'Arabia Saudita) potrebbe portare di nuovo in equilibrio il mercato.
A far sperare la maggior parte dei paesi produttori, che da mesi spingono per un rialzo dei prezzi visto che la produzione per loro è diventata ormai insostenibile, sono state poche parole, ma ben ponderate, del ministro dell'Energia saudita Khalid al-Falih, la scorsa settimana: hanno avuto un effetto simile sul corso del barile del petrolio a quello delle dichiarazioni dei banchieri centrali sui mercati finanziari.
A spingere gli hedge fund a rivedere le proprie posizioni ribassiste sul petrolio, come riporta la stampa finanziaria anglosassone, sarebbe stato il passaggio in cui il ministro Falih ha detto che Riad è pronta a "discutere ogni possibile azione" per stabilizzare i prezzi in occasione del prossimo incontro dei ministri dell'Opec. Nessun analista, tuttavia, soprattutto dopo le parole non rassicuranti del collega iraniano, si aspetta davvero il raggiungimento di un accordo ufficiale sulla produzione petrolifera.
A gettare ulteriori ombre, inoltre, sono state alcune indiscrezioni da fonti industriali raccolte dall'agenzia Reuters a inizio settimana che dimostrerebbero il doppio gioco della strategia del regno: da una parte si dice pronto a dialogare, dall'altra starebbe spingendo al massimo la produzione che a fine agosto potrebbe toccare i 10,9 milioni di barili al giorno spodestando la Russia, che oggi è il primo produttore (10,8 milioni di barili al giorno).
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Un accordo decisivo
Il Financial Times, invece, ha sottolineato il ritorno della centralità dell'Opec e dell'Arabia Saudita quale "banca centrale del petrolio", un ruolo che in molti ormai davano per tramontato, anche perché oltre la metà della produzione mondiale proviene da contesti differenti, Russia in primis.
Ecco perché la distensione dei rapporti tra e Riad e Mosca, da sempre sostenitore dell'Iran, il contendente dei sauditi per il controllo politico ed economico del Medio Oriente, potrebbe costituire forse il tassello decisivo per la futura stabilizzazione dei prezzi.
Lo ha ricordato in questi giorni, da parte russa, la versione in lingua inglese del quotidiano russo Pravda (l'ex organo di stampa del regime sovietico), secondo cui Riad sarebbe proccupata dall'attivismo del presidente Putin, impegnato in una serie di recenti incontri con Turchia, Azerbaijan e Iran nell'ottica di una futura cooperazione tra i quattro paesi nel settore energetico (gas e petrolio) da cui potrebbe nascere un cartello in grado di togliere all'Arabia Saudita il monopolio sul mercato.
A mandare un primo segnale di riappacificazione, intanto, è stato il ministro russo dell'Energia Alexander Novak: in un'intervista pubblicata lunedì su un importante quotidiano saudita pubblicato a Londra, ha dichiarato che Mosca è interessata sia a cooperare con i sauditi e gli altri paesi dell'Opec (ad oggi vi fanno parte paesi mediorientali, africani e sudamericani) per la stabilizzazione dei prezzi del petrolio sia ad aiutare Riad a sviluppare il piano interno di energia nucleare per i prossimi 25 anni tramite la costruzione di 16 reattori nucleari.
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Greggio in risalita
Un passaggio, quello sullo sviluppo dell'energia atomica di Riad, fondamentale: il regno si è sempre opposto allo sviluppo dell'energia nucleare in Iran e la stampa saudita ha ricordato - non a caso - che fu proprio la Russia ad aiutare Teheran a costruire nel 2011 la prima centrale atomica nel Golfo Persico.
Ma al di là della geopolitica, fino a dove potrà spingersi il prezzo del greggio? Non considerando l'impatto di fattori esogeni al mercato, ai primi di agosto, quando ancora non si era affacciata la possibilità di un accordo tra Mosca e Arabia Saudita, il fondo di investimento svizzero GAM faceva notare che a seguito dei tagli agli investimenti l'attività estrattiva al di fuori degli USA - dove si produce il petrolio dallo scisto bituminoso (grazie a questa nuova tecnica di estrazione, più costosa rispetto a quella tradizionale, gli Stati Uniti possono contare tra le maggiori riserve di petrolio al mondo, secondo un'analisi della norvegese Rystad Energy) - difficilmente potrà recuperare prima del 2018.
E di conseguenza gli esperti elvetici si aspettano che i prezzi si dirigano verso i 55 dollari al barile per la fine dell’anno, arrivando il prossimo anno in area 60 dollari al barile.