Petrolio, perché i prezzi sono in discesa
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Economia

Petrolio, perché i prezzi sono in discesa

Le quotazioni dell'oro nero sono leggermente rimbalzate, dopo aver subito però a una lunga sfilza di ribassi. Ecco le ragioni di questo trend negativo

Un rimbalzo che ha tranquillizzato gli operatori del mercato. E' quello registrato oggi dal prezzo del petrolio sulle principali piazze finanziarie. Le quotazioni del Brent, il greggio del Mare del Nord negoziato a Londra, hanno avuto infatti un rialzo dell'1,9% raggiungendo i 79 dollari al barile mentre i prezzi del Wti, il contratto petrolifero scambiato negli Stati Uniti, sono tornati a ridosso dei 75 dollari al barile, in crescita di quasi l'1% rispetto a ieri. La ripresa odierna non cancella però quello che è avvenuto negli ultimi tre mesi, durante le quali l'oro nero ha registrato un ribasso del 30% circa e ha toccato livelli che non si vedevano dal 2009.


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Alla base di queste performance tutt'altro che esaltanti del greggio, c'è un mix concomitante di di fattori. Innanzitutto, la domanda sul mercato è debole perché la crescita economica viaggia al rallentatore, almeno in alcune aree del pianeta come l'Europa dove il pil segna un rialzo da prefisso telefonico (+0,2%). Sul fronte opposto, l'offerta di petrolio è invece ancora abbondante, visto che i vertici dell'Opec (il cartello dei paesi esportatori di greggio) ha deciso di non diminuire la produzione. Ma c'è anche un terzo fattore che oggi allarma gli operatori finanziari, perché potrebbe creare uno scenario di instabilità sui mercati. Si tratta dell'esplosione dello Shale Oil americano, cioè la produzione di greggio attraverso la frantumazione (fracking) delle rocce argillose. Questa tecnica estrattiva sta mettendo il turbo all'industria petrolifera degli Stati Uniti, che sono molto ricchi di giacimenti argillosi e stanno viaggiando a pieno ritmo verso la tanto agognata autosufficienza energetica.


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Di per sé, il boom dello Shale Oil non è una cattiva notizia, visto che fa crescere l'offerta mondiale di oro nero. Il guaio è che l'estrazione di petrolio dalle rocce argillose richiede molti investimenti, sostenibili economicamente soltanto quando le quotazioni del greggio sono molto alte. Se il prezzo del barile crolla, le aziende statunitensi che producono lo Shale Oil rischiano di andare a gambe all'aria, visto che sono molto indebitate (la loro esposizione finanziaria totale è stimata nell'ordine di ben 190 miliardi di euro, più che triplicata in un quadriennio). Ed è proprio per questa ragione che gli esponenti della comunità finanziaria sono preoccupati temendo che, prima o poi, l'incantesimo si rompa e che sullo Shale Oil scoppi una bolla speculativa, con di una lunga sfilza aziende costrette a naufragare nei debiti.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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