Il piano di risparmio energetico della Ue non può funzionare
Pretese troppo alte e controlli impossibili. Come al solito dovremmo arrangiarci con il nostro buon senso
Dal cappello della Commissione europea è uscita una proposta bella sulla carta, ma complessa da realizzare, per tagliare i prezzi dell’energia elettrica. Una proposta che rischia perciò di essere profondamente modificata dagli Stati membri se non addirittura rigettata. Ecco i fatti: dopo varie anticipazioni, il 14 settembre è stato finalmente diffuso il comunicato nel quale viene spiegato che la Commissione intende concordare con i vari governi un obbligo nella riduzione dei consumi di "almeno il 5% durante gli orari di picco". Agli Stati sarà quindi richiesto di "identificare il 10% delle ore con i maggiori livelli di prezzi e ridurre la domanda in queste fasi". L’obiettivo è di "ridurre il consumo complessivo di elettricità di almeno il 10% fino al 31 marzo 2023".
Sulla carta, dicevamo, l’idea è ottima: tagliare i consumi di elettricità negli orari di picco permette di abbassare notevolmente i prezzi perché si elimina quella parte marginale della domanda che provoca l’impennata delle quotazioni. Sono gli algoritmi a dirlo. Il problema però è passare dalla teoria alla pratica: obbligare un Paese a ridurre la domanda complessiva di elettricità del 10% per alcuni mesi non è affatto facile, sempre ammesso di aver compreso bene la proposta della Commissione. Tanto per dare un’idea delle quantità di cui stiamo parlando, nel 2020, anno terribile della pandemia con un crollo eccezionale delle attività economiche, i consumi di elettricità si sono ridotti del 5,3% rispetto al 2019. In altre parole la Commissione ci chiederebbe di fare fino al 31 marzo 2023 un sforzo doppio rispetto a quello sopportato nel 2020 in termini di consumi elettrici. Magari si può fare, visto che si sono stati mesi nel 2020 in cui i consumi sono calati anche di più, ma a noi sembra un po’ tantino.
Veniamo poi al taglio del 5% dei consumi elettrici negli orari di punta. Intanto quando ci sono gli orari di punta? Andiamo a spulciare i dati di Terna e scopriamo che di solito il picco di consumi avviene fra le 9 e le 11 di mattina e fra le 15 e le 18 del pomeriggio. Per esempio, nel mese di agosto il momento di picco dei consumi è stato il giorno 4 alle ore 15 e in quel momento la domanda ammontava a 49,9 gigawatt. Nel mese di gennaio 2022 la punta è stata registrata invece martedì 25 tra le 11 e le 12 con un valore di 52,3 gigawatt.
Visti gli orari è difficile che si possa prevedere di intervenire sui 35 milioni e passa dei contatori intelligenti piazzati nelle case e nelle piccole aziende degli italiani: non è che alle 11 del mattino o alle 4 del pomeriggio le famiglie fanno funzionare lavatrici, forni e lavastoviglie. È molto probabile che in quegli orari il picco dei consumi sia da addebitare alle aziende che sono in piena attività. Ma nei momenti di massima domanda, come abbiamo visto, sono in gioco circa 50 gigawatt. Ridurre i consumi di picco del 5% significa rinunciare a 2,5 gigawatt, più o meno l’equivalente di tre grandi centrali elettriche. Non è poco. In Italia l’azienda che consuma più elettricità in assoluto è il Gruppo Ferrovie dello Stato che da solo assorbe il 2% della produzione elettrica nazionale (e sempre di più se la produce in casa con impianti rinnovabili). Diminuire i consumi di picco del 5% in altre parole significherebbe fermare due gruppi come Fs: non è facile.
E poi come si fa ad obbligare un’impresa a ridurre i propri consumi di elettricità? Nicola Armaroli, direttore di ricerca presso il Cnr, sostiene che un’operazione del genere andrebbe normata, ci vogliono dei nuovi regolamenti in modo da tutelare l’utente da eventuali danni provocati dal taglio dell’energia. Immaginiamo una società che ha computer che stanno macinando dati e che ha delicate macchine laser: un’interruzione può creare grossi problemi. E il cliente potrebbe fare causa sostenendo che il contratto non è stato rispettato. Insomma, ci si infila in un ginepraio legale che potrebbe essere sciolto sono da un intervento normativo.
«Io penso che alla fine i governi dovranno accontentarsi di fare una moral suasion sui consumatori per cercare di raggiungere quegli obiettivi, senza obbligare nessuno». Armaroli pensa per esempio che si potrebbero spostare le partite di calcio al pomeriggio, quando c’è luce solare, e spegnere così i mega-riflettori negli stadi. Oppure spingere la catene della grande distribuzione a chiudere i frigoriferi e i negozi a tenere chiuse le porte. Il rischio poi che si potrebbe arrivare al paradosso di punire con un taglio dell’elettricità chi ha investito in pannelli solari e pompe di calore e magari proprio nell’orario di picco è nuvoloso e ha bisogno una volta tanto della rete elettrica.
Forse la soluzione potrebbe essere quella di rivolgersi ai cosiddetti interrompibili: si tratta di aziende che consumano molta energia come fonderie, acciaierie, cartiere, industrie chimiche, della ceramica o cementifici e che si rendono disponibili ad accettare un’interruzione della fornitura di elettricità anche con preavvisi minimi, ricevendo in cambio un corrispettivo per la disponibilità al servizio e un ulteriore contributo per ogni interruzione. Questo servizio è molto utile per evitare blackout alla rete elettrica in casi di emergenza. Le aziende interrompibili sono circa 350 e in passato si è arrivati anche a un gigawatt di capacità interrompibile. Dunque il governo potrebbe chiedere a queste imprese, attraverso Terna o l’Autorità per l’energia Arera, di rendersi disponibili a fermare la produzione nei momenti di picco. E magari allargare questa richiesta ad altri «volonterosi» in cambio naturalmente di un corrispettivo.