Pirelli e le altre: tutte le aziende italiane comprate dai cinesi
Telecom, Fiat-Chrysler, Eni, Enel, Prysmian, Cdp Reti, Ansaldo Energia, ma anche Gruppo Ferretti, Fiorucci, Miss Sixty, Cerruti e Benelli
"Andare all'estero servirà a costruire una piattaforma per i gruppi cinesi per crescere attraverso la partecipazione nell'economia globale. La crescita sostenibile e la capacità di competere sul palcoscenico globale dipendono dalla velocità con cui la Cina può favorire le sue compagnie internazionali". E' con queste parole che i cinesi, per bocca di Long Yongtu, il presidente del Center for China & Globalization di Pechino, hanno chiarito in maniera inequivocabile la determinazione del paese a rinnovarsi puntando tutto su investimenti (all'estero e su gruppi ben consolidati) e acquisizione di know how e tecnologie all'avanguardia.
Gli investimenti cinesi all'estero
AgiChina24 racconta che nel 2014 gli investimenti cinesi all'estero hanno superato la soglia dei cento miliardi di dollari, raggiungendo quota 102,9 miliardi, e che per il 2015 il paese si è posto l'obiettivo di arrivare a 113, con un aumento del 10% su base annua. Va aggiunto poi che degli 870 miliardi di dollari di investimenti cinesi totali nel mondo circa 400 miliardi sono stati destinati al settore dell'energia, 134 a quello dei trasporti e delle infrastrutture, e 6,3 alle acquisizioni di industrie ad elevato valore aggiunto.
Secondo i dati raccolti da Reuters, il Bel Paese è il secondo mercato di riferimento per gli investimenti cinesi in Europa e il quinto su scala mondiale. Del resto, Pirelli non è certo la prima acquisizione italiana appoggiata da Pechino.
La presenza cinese in Italia
L'elenco delle partecipazioni cinesi in Italia, infatti, è lunghissimo ed estremamente diversificato. Prima di occuparsi dei grandi gruppi nazionali Pechino ha acquistato quote o rilevato aziende in ogni possibile settore. Solo per citare qualche esempio, nel 2012 sono state aggiunte al carrello orientale il Gruppo Ferretti, che produce yacht di lusso, la De Tomaso Automobili Spa, l'azienda alimentare Fiorucci (già passata in mani prima spagnole, poi americane) e la moda di Miss Sixty. Un paio di anni prima la Cina aveva messo le mani sulla moda da uomo firmata Cerruti, sui prodotti in pelle di Desmo, sulle motociclette Benelli e su decine di altre piccole e medie imprese. Ultimamente, invece, oltre ad appartamenti, terreni e vigneti, la Cina ha messo gli occhi anche su aziende molto più grandi, ed è entrata in possesso entrata del 2 per cento del capitale di Telecom, Fiat-Chrysler, Eni, Enel, e di una piccola fetta di Prysmian, la ex Pirelli Cavi. Sono poi diventati cinesi anche il 35 per cento di Cdp Reti, che controlla Snam e Terna, e il 40 per cento di Ansaldo Energia.
Perché Pechino investe all'estero
Abbiamo sempre detto che Pechino cerca in Italia (e non solo) investimenti che possano garantire contemporaneamente qualità e redditività finanziaria: per sostituire un modello economico che fino ad oggi è stato prevalentemente quantitativo con un sistema che premi qualità e ricerca in tempi relativamente rapidi è necessario comprare tecnologia. Per coltivarla servono tempo, ricerca, creatività e anche un po' di passione, e i cinesi queste qualità non le hanno quindi, per non rimanere indietro, usano le scorciatoie, acquistando pacchetti solidi dal punto di vista del marchio e delle capacità, che cercano di rilanciare con nuove iniezioni di liquidità.
Le novità dell'operazione Pirelli
L'operazione Pirelli, però, è diversa, e dimostra che la strategia cinese ha ormai ultimato la sua fase di rodaggio. Con la complicità di un mercato globale affamato di capitali, e che quindi non storce più il naso quando questi ultimi arrivano dall'Oriente, Pechino ha imparato negli anni a muoversi meglio e a puntare più in altro. L'ingresso di Chem-China in Pirelli porterà l'azienda a controllare il quinto produttore di pneumatici al mondo a ad affermarsi come leader globale nel settore, e di operazioni come queste ce ne saranno certamente altre, in Italia e non. Attenzione però: le iniezioni fresche di capitali sono una manna per le aziende in difficoltà, così come lo è l'ingresso automatico su nuovi mercati. Ma nel lungo periodo sarà soprattutto Pechino a trarne vantaggio. E non tanto perché sarà in grado di realizzare il suo sogno di affermarsi come prima potenza economica mondiale, ma perché riuscirà piano piano, e lasciando ai suoi partner ben poche alternative, a modificare gli equilibri economici e finanziari globali a suo vantaggio. La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma la direzione è senza dubbio quella giusta.