Prandini (Coldiretti): «L’Europa mette a rischio la Dieta mediterranea»
Dopo l’aspra polemiche con vicepresidente della Ue Frans Timmermans, il presidente della maggiore associazione degli agricoltori spiega perché l’obiettivo dell’Unione di riduzione dei consumi secondo i dettami «green» penalizzano fortemente le produzioni tradizionali e di qualità, a partire da quelle dell’Italia, a favore delle multinazionali dell’alimentazione.
«Se togli il lavoro agli allevatori, non puoi pensare che poi ti facciano gli applausi. O che ti votino…». L’avviso di Ettore Prandini a Frans Timmermans potrebbe presto rivelarsi una profezia. Nel match all’arma bianca sul «Green New Deal» europeo, il presidente di Coldiretti ha giocato una partita senza esclusione di colpi, talvolta anche bassi. Con un unico obiettivo in mente: salvaguardare la filiera agroalimentare italiana da quelle che lui definisce «le follie a tavola dell’Ue». Al suo avversario, il non troppo simpatico (soprattutto agli agricoltori europei) vicepresidente esecutivo della Commissione con delega al Clima, ha indirizzato anche parole forti («delinquente»). Ma, soprattutto, ha continuato a lavorarlo ai fianchi. Tanto che il socialdemocratico olandese, alla fine, ha gettato la spugna: in autunno si congederà dalla bollente poltrona di guru della transizione ecologica per candidarsi al governo del suo Paese. Dove gli allevatori non hanno ancora dimenticato folli diktat ecologici imposti alle loro stalle e lo aspettano da tempo. Più con i forconi che con le schede elettorali alla mano. Il presidente di Coldiretti, intervistato da Panorama, può oggi considerarsi il vincitore morale della partita. Ha spaccato il fronte che, in Europa, voleva discriminare carne e vino italiani per spalancare le porte, in primis, alla carne sintetica.
Ma Prandini sa che la battaglia si gioca non contro singoli avversari, ma contro un’ideologia insidiosa: la «Great Food Transformation». Ovvero quell’agenda Ue, zeppa di normative ideologiche contrarie all’agricoltura e all’allevamento tradizionali, che Bruxelles vuole imporre per ridurre del 31-37 per cento le emissioni legate ai consumi derivanti dal cibo, azzerando la Dieta mediterranea. Da sostituire con una «Dieta unica per la salute planetaria», una rivoluzione radicale della filiera agroalimentare italiana. In nome della difesa (sulla carta) di ecosistema e biodiversità, le normative green europee prevedono il consumo massimo di 16 chili di carne all’anno per individuo, contro i 58 chili attualmente consumati nelle città C40, con l’ambizione di azzerarne il consumo entro il 2030; per i latticini l’obiettivo è fissato a 90 chili l’anno, ma con l’idea di abolirli del tutto dalla nostra alimentazione, per un totale di 2.500 calorie consentite a persona. Un nuovo proibizionismo «verde», che molto piace alle multinazionali ma che rischia di essere rigettato - anche alle urne - dagli elettori europei.
Cosa l'ha spinta a esporsi in modo così veemente contro il vice presidente della Commissione europea e commissario europeo per il Green Deal lo scorso 27 maggio?
La Commissione sta proponendo scelte che mettono in difficoltà i popoli europei, senza raggiungere gli obiettivi ambientali prefissati. C’è troppa ideologia nelle misure proposte e troppa distanza dalle realtà. Non si può andare avanti così. dal terrorismo sul vino alle etichette a semaforo che bocciano le eccellenze tricolori, fino alla direttiva sugli imballaggi e al divieto della pesca a strascico siamo di fronte a follie senza freni che rischiano di stravolgere per sempre lo stile alimentare della Dieta Mediterranea e il sistema produttivo nazionale basato sulla qualità e su tradizioni millenarie. E il risultato sarebbe solo che il cibo che non riusciamo a produrre lo importeremo da paesi con standard socio ambientali sicuramente inferiori con danni economici e sociali per la delocalizzazione anche delle attività di trasformazione e commercializzazione che non rinunceranno comunque a produrre.
A suo avviso , quale risposta dovrebbe dare il governo italiano contro il tentativo di imposizione di un'Agenda alimentare che, introducendo nuovi cibi sintetici e penalizzando la dieta mediterranea, vorrebbe portare a una «dieta unica planetaria», spia di un mercato unico degli alimenti accettati da Bruxelles sulle nostre tavole?
Il cibo sintetico è un pericolo per la salute. Non lo dice Coldiretti, ma alcuni tra i più importanti scienziati e medici non solo italiani. Hanno chiesto tempo per valutare un prodotto che è fatto come un farmaco. Per questo crediamo che il governo italiano abbia fatto bene a presentare un disegno di legge per aprire la discussione nel Parlamento sull’opportunità di bloccare produzione, commercializzazione e uso del cibo artificiale, nel rispetto del principio di precauzione. E chiediamo all’Europa di non inserire questi prodotti nel percorso di autorizzazione dei «novel food», ma in quello dei prodotti farmaceutici. Anche il rapporto FAO e OMS (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura e l’Organizzazione mondiale della sanità» elenca 53 rischi potenziali sui quali va posta grande attenzione e smonta la favola per cui questi cibi si dovrebbero per forza chiamare «coltivati». Per coltivare serve la terra, non i bioreattori dove moltiplicano le cellule staminali con gli ormoni! Che peraltro sono vietati nella produzione di carne nell’Unione Europea da oltre un trentennio.
Come Coldiretti avete formulato alcune proposte da portare alla Commissione europea e quali sono i rischi che intravede in progetti come la totale eradicazione del consumo di carne rossa e, a seguire, di latticini e derivati entro il 2030?
È folle demonizzare cibi che mangiamo da millenni, per sostituirli con varianti fatte in laboratorio e di cui non conosciamo gli effetti sulla salute. Da anni latte e carne sono sotto attacco in maniera ingiustificata. L’Italia è un modello da seguire, per l’equilibrio della Dieta mediterranea e per il benessere che passa soprattutto dalle nostre tavole. L’equilibrio nella dieta va ricercato nella varietà. Ci battiamo proprio per difendere gli allevatori e gli agricoltori ma anche la libertà di scelta dei consumatori e l’ambiente ed il paesaggio in cui viviamo. Le nostre proposte sono volte all’innovazione al servizio della salute e del cittadino, alla trasparenza ed alla preservazione di territori rurali vivi che non possono prescindere dalla presenza degli agricoltori
Perché in Europa nessuno dei grandi produttori italiani sembra avere voce o rappresentanza per portare le proprie istanze, al pari delle grandi lobbies internazionali, e come si potrà reagire in caso di introduzione, come a Trento, del wallet digitale (al momento facoltativo) che avrà facoltà di tracciare anche le impronte di carbonio dei cittadini nei loro consumi domestici?
Noi difendiamo l’ambiente tutti i giorni: senza agricoltori non c’è cura del territorio. Senza pascoli la montagna muore. Proprio per questo siamo impegnati a Bruxelles per portare le nostre ragioni, contrastando scelte autolesioniste o che mettono sotto controllo i cittadini. Non possiamo cedere agli interessi di poche multinazionali, rovinando il progetto di sviluppo europeo.
Avete in mente una strategia di difesa dei diritti del consumatore, magari cercando alleanze con altre associazioni in Europa? Basta guardare alla situazione degli allevatori in Olanda e oggi in Irlanda per capire che la rabbia è generalizzata anche fuori dall'Italia.
Coldiretti ha lanciato insieme a Farm Europe il progetto «Eat Europe», proprio per una grande alleanza tra mondo agricolo, produzione alimentare e consumatori per dare rappresentanza a chi vuole difendere e promuovere un modello di sviluppo sostenibile. Il caso olandese dice molto di come certe politiche siano distanti anni luce dal popolo. Se togli il lavoro agli allevatori, non puoi pensare che poi ti facciano gli applausi. O ti votino.