Ricalcolo del pil: a cosa serve e i dubbi ancora irrisolti
Da sciogliere soprattutto il nodo dell'economia sommersa. La Commissione Europea intanto attende, con qualche preoccupazione
La rivalutazione del Pil da parte dell’Istat continua a far discutere. Ieri la prima revisione, relativa al 2011. A fine settembre, la serie aggiornata al 2013, su cui si baserà il Documento di economia e finanza (Def). In calo il rapporto deficit/Pil, così come il rapporto debito/Pil. Merito di un’economia sommersa che vale 187 miliardi di euro, o l’11,5% del Pil, che lascia aperti diversi interrogativi. La Commissione europea attende, ma non nasconde preoccupazione.
Il miglioramento dei conti pubblici italiani è realtà. O almeno, questo secondo la nuova classificazione dettata dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec 2010), adottato tramite il regolamento 549 del Consiglio UE. Secondo la Commissione europea, a livello di eurozona, il Pil dovrebbe aumentare di circa 2,4 punti percentuali. Ma i benefici saranno diversi da Paese a Paese. Nel caso dell’Italia si è stimato un impatto compreso fra 1 e 2 punti percentuali. Numeri confermati da Istat per il 2011. Infatti, il Pil 2011 è stato rivisto al rialzo, da quota 1.579,9 miliardi di euro a quota 1.638,9 miliardi.
La maggiorazione è di circa 59 miliardi di euro, 24,6 dei quali derivanti dalla modifica al sistema di calcolo. La quota maggiore è relativa ai capitoli per ricerca e sviluppo, circa 24,6 miliardi di euro, mentre le attività illegali (droga, prostituzione, contrabbando) hanno fruttato circa 15,5 miliardi. Questi ultimi devono essere sommati ai 187 miliardi di euro di economia sommersa di cui sopra, per avere un computo generale di quanto vale questo settore, cioè 202,5 miliardi. Tanto, troppo. Ma, secondo Palazzo Chigi, l’importante è che i benefici di Sec 2010 siano diffusi e siano funzionali a evitare una manovra correttiva che, fino a oggi, è stimata fra i 18 e i 22 miliardi di euro.
Basta per far dormire sonni tranquilli al governo di Matteo Renzi? Non proprio. L’equilibrio dei conti pubblici, e la conseguente stabilità finanziaria del Paese, sembra essere stata trovata, almeno sulla carta, ma da Bruxelles le risposte che arrivano sono contraddistinte dalla cautela. Contattati tramite email, i portavoce della Commissione UE preferiscono mantenere un basso profilo. “Attendiamo le indicazioni che arriveranno a fine settembre”, scrivono. Vale a dire: prima Istat pubblica la revisione del Pil 2013, poi il governo ultima e presenta il Def, poi noi verificheremo se ci sono coperture, squilibri e se tutto è in linea con le previsioni.
Nel caso così non fosse, la doccia gelata per Roma potrebbe essere inevitabile.
I dubbi di Bruxelles sono gli stessi delle banche d’investimento. In entrambi i casi, la fiducia sta venendo meno. Colpa della mancanza di risposte chiare, nette e decise sul fronte delle riforme strutturali promesse. Il gelo riguarda non solo i conti pubblici, ma anche le ultime iniziative. Come fa notare un alto funzionario della Commissione UE, “c’è preoccupazione per il deterioramento della domanda domestica dell’Italia e le recenti misure sembrano, di primo acchito, essere solo un minimo supporto”. Il riferimento è allo Sblocca Italia, che sarà discusso anch’esso in autunno dalla Commissione.
Per ora, l’Italia può solo sperare che le misure della Banca centrale europea (Bce) abbiano un effetto positivo nei prossimi mesi. Un beneficio già lo stanno avendo, dato che il lavoro di Mario Draghi sta agendo sulle aspettative degli investitori istituzionali, contribuendo al deprezzamento dell’euro contro le altre valute. Come ha scritto Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, «Per i politici europei l’euro debole risolve molti problemi potenzialmente esplosivi. Uno di questi - spiega Fugnoli - è la sopravvivenza stessa della valuta unica e il mantenimento nel suo perimetro dell’Italia». Ma oltre a questo ci deve essere di più.
Ricalcolo del Pil, rallentamento nell’adozione delle riforme, eventuali ricapitalizzazioni dopo il Comprehensive assessment della Bce, deflazione e ulteriore contrazione degli investimenti dall’estero sono i cinque punti che possono dare il colpo di grazia alla fiducia dei mercati finanziari sull’Italia, già in calo. Venendo meno la fiducia, viene meno anche la credibilità futura. E questo si potrebbe tradurre nell’ennesimo divampare della pressione intorno a Roma e al suo debito pubblico da oltre 2.000 miliardi di euro.