Riflessioni critiche sulle materie prime critiche
L'Ue cerca una via d'uscita dal problema della dipendenza dagli altri paesi per il recupero di materie prima
Da alcuni anni la Commissione Europea sostiene “l’obbligo morale” di accettare l’apertura di nuove miniere anche sul suolo europeo e non solo nei paesi del Sud del Mondo, dove, se è presente un’etica ambientale qualitativamente inferiore alla nostra, spesso non è per il volere di coloro che in quei luoghi ci vivono.
Il conflitto in Ucraina e la conseguente crisi energetica hanno fatto comprendere agli europei l’equivalenza esistente tra indipendenza energetica ed indipendenza dalle materie prime. Ma soprattutto ha reso evidente che la transizione energetica nasce e finisce con i metalli: i traguardi del Green Deal sono indissolubilmente legati all’industria mineraria nello stesso modo in cui, l’attuale sistema energetico, é legato all’industria estrattiva dei combustibili fossili.
Pertanto la Commissione, nel varare la “Legge europea sulle materie prime critiche”, prendendo atto della nostra dipendenza per le materie prime dall’estero (e spesso da veri e propri paesi “canaglia”), da un lato sostiene sia necessario un "ritorno al passato", cioè all’attività mineraria, e dall’altro pensa ad un “Critical Raw Materials club” ossia un “club di paesi amici” con cui rafforzare e diversificare le catene di approvvigionamento. Tradotto nel lessico diplomatico, significa friend-shoring: se non puoi produrlo da solo, trova un paese amico che possa farlo per te.
Secondo questo principio l’insieme dei paesi amici dovrebbe avere abbastanza risorse per commerciare tra loro: sfortunatamente, la realtà è che la maggior parte delle riserve dei metalli per la transizione sono controllate da Cina e Russia, gli USA dipendono da loro per 32 dei 47 minerali critici e l’Europa se la passa anche peggio. Inoltre il friend-shoring operando un contesto industriale “protetto” mina la concorrenza, aumentando così i costi di produzione ed i prezzi al consumo. E se anche ci sarà chi accoglierà con favore la riduzione della concorrenza ed il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime, i consumatori finali ne pagheranno lo scotto.
Gli ostacoli sul cammino della Commissione restano, a nostro avviso, insormontabili. In primis perché a non pensarla come la Commissione sono proprio i cittadini europei che, spalleggiati da quelle stesse associazioni ambientaliste che pretendono una transizione verde accelerata, si oppongono fermamente a qualsiasi ipotesi che preveda l’apertura di una miniera "nel proprio giardino" scordandosi come sono entrati nell'era dell'elettricità, delle luci domestiche, dei telefoni e degli elettrodomestici, dei motori e dei generatori.
Associazioni ambientaliste ansiose di liberarsi del nostro passato industriale, molto prima di capire fino a che punto l'ombra dell'industria è ancora con noi, ansiose di oscurare nel dibattito pubblico le connessioni che legano tutti noi all’estrazione delle risorse dal sottosuolo, precludendo così risposte ben ponderate e oneste a domande scomode che parlano di desiderio e complicità, di capitalismo e cultura moderna.
I cardini dell’European Critical Raw Materials Act si articolano essenzialmente in 4 punti che prevedono i seguenti vincoli al consumo annuo dell'UE di materie prime strategiche:
almeno il 10% deve provenire dall'estrazione domestica,
almeno il 40% deve essere trasformato localmente,
almeno il 15% deve provenire dal riciclaggio,
non più del 65% di ciascuna materia prima strategica, in qualsiasi fase della trasformazione, può provenire da un unico paese terzo.
Queste norme dovrebbero entrare in vigore dal 2030: oggi ovviamente sarebbero impercorribili. Ma vediamo, con alcuni esempi, se lo potranno essere in futuro o se, piuttosto, la Commissione non li abbia modellati a suo uso e consumo: accettare fornitori per il 65% di una materia prima critica sembrerebbe una presa in giro: è bastata la dipendenza dal gas russo per nemmeno la metà dei fabbisogni europei a innescare una delle peggiori crisi energetiche che l’Ue abbia conosciuto.
Il gas importato in Europa dall'estero.
Fonte dati: Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica.
Ed in effetti questa soglia, al 65%, sembra far intendere come, anche per la Commissione, ci sono settori in cui questa situazione, al 2030, è destinata a cambiare di poco: esaminiamone alcuni. Per produrre gli anodi per le batterie della mobilità “sostenibile” serve la grafite ed oggi, qualunque sia la batteria, la grafite proviene sempre e solo dalla Cina. Le operazioni di Talga in Svezia sono l'unica fonte di grafite degli stati membri dell'UE dove, peraltro, si incontrano anche difficoltà sul fronte ambientale. Di conseguenza, la Cina continuerà ad avere, nella pratica, il monopolio sul materiale dell'anodo della batteria.
Altro aspetto critico sono le terre rare. L’UE importa circa 16.000 tonnellate di composti di terre rare all'anno. Se tralasciamo i composti di cerio e lantanio, la cui fornitura sicuramente non rappresenta un problema strategico, restano solo un migliaio di tonnellate di terre rare magnetiche, ossia funzionali a quanto serve al Vecchio Continente per produrre i magneti permanenti necessari, in particolare, all’industria dei veicoli elettrici e delle turbine eoliche.
Domanda di terre rare per settori di utilizzo finale e ripartizione della domanda di magneti permanenti.
Se si considera che nel 2022 la Cina ha esportato in Europa circa 21.000 tonnellate di magneti permanenti è facile comprendere come il problema di Bruxelles non risieda più solo a monte della catena del valore bensì la dipendenza europea si estenda fino a valle cioè alla produzione dei magneti permanenti. E senza interventi, inevitabilmente, si estenderà ulteriormente fino, ad esempio, ai motori elettrici a magneti permanenti. E, nel contempo, un ipotetico produttore di magneti permanenti europeo con la capacità produttiva per soddisfare la domanda interna, oggi, sarebbe a rischio di approvvigionamento della materia prima.
La medesima situazione di dipendenza vale per altri metalli come il magnesio, il manganese ad alta purezza per batterie, i metalli del gruppo del platino, il boro, il gallio e buona parte degli altri presenti nell’elenco delle 34 materie prime critiche. Fornire la materia prima ad una catena di approvvigionamento significa avere accesso alla ricerca e allo sviluppo di giacimenti minerari vitali ed essere in grado di consentire i progetti in modo tempestivo, mantenere aperta la disponibilità alle prospezioni perché aumenta le probabilità di trovare nuovi giacimenti.
Fissare come obbiettivo l’estrazione in Europa del 10% del nostro fabbisogno è francamente un obbiettivo risibile: se continuiamo a vietare la prospezione e l'estrazione mineraria, se si riscontrano continui sforzi per limitare ulteriormente l'accesso all'industria mineraria quando la domanda di minerali è destinata a salire alle stelle per soddisfare gli obiettivi climatici europei allora sarà inutile autorizzare qualche piccola miniera priva della necessaria filiera per l’arricchimento e la raffinazione della materia prima e magari costretta a mandare in altri paesi (Cina) il minerale arricchito per la fase finale della lavorazione.
Inoltre, secondo Bruxelles, questi progetti minerari dovrebbero essere autorizzati in non più di 24 mesi, con un termine di 12 mesi per i progetti che comportano solo la trasformazione e il riciclaggio delle materie prime critiche. Oggi la durata media per l’apertura di una miniera, dal ritrovamento del giacimento alla fase produttiva, si misura in decenni. Salvo che non si decida di usare l’esercito per aprire i nuovi siti, e forse nemmeno questo potrebbe essere sufficiente, a Bruxelles facevano meglio ad evitare di inserire questa norma che, a nostro avviso, mina ulteriormente la credibilità dell’intero impianto.
Così come il vincolo della trasformazione e raffinazione in Europa del 40% del consumo annuo pare fuori dalla nostra portata. I costi energetici per questo tipo di attività industriali costituiscono il problema principale, non ha senso introdurre il Critical Raw Materials Act con questi costi energetici: non ci sarà nessuno, in Europa, in grado di produrre materie prime critiche se non si interverrà radicalmente sui prezzi dell’energia. Sembra che a Bruxelles non si siano accorti delle fonderie che sono state chiuse o ridimensionate in questi ultimi 18 mesi.
Oggi l’Europa si trova sulla soglia di una guerra industriale, oltre che con i produttori cinesi che operano in un universo parallelo di sostegno statale, anche con gli USA, l’alleato storico. Una guerra che si combatte sul fronte degli incentivi, e dove gli sforzi dei paesi europei non sembrano in grado di competere con la portata e la forza di attrazione dell'I.R.A. statunitense. Una larga parte delle “gigafactory” pianificate in Europa potrebbe essere ridimensionata o non realizzata. Siamo ad un bivio: impegnarsi nei prossimi cinque anni ad affrontare le sfide, impopolari ma necessarie a far decollare le nostre catene del valore di metalli e minerali o rassegnarsi, definitivamente, ad un ruolo di subalternità.
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