Rimarremo senza uranio?
il tema della produzione di energia sposta l’attenzione sull’estrazione e le risorse del metallo pesante disponibili sul nostro pianet
Da poco la popolazione globale ha raggiunto gli 8 miliardi e la sua crescita viene definita esponenziale. In realtà il suo tasso di crescita è contenuto: l’1%. Invece,in meno di vent’anni, la produzione dei metalli, di base e di quelli definiti “critici” dall’Unione Europea,è praticamente raddoppiata.Ogni aspetto della nostra civiltà è segnato da una curva di crescita esponenziale e gli impatti delle nostre attività sull’ambiente seguono il medesimo andamento. Le medesime considerazioni si applicano all’energia: l’Energy for Growth Hub stima che più di 3,5 miliardi di persone - quasi la metà della popolazione mondiale - vivano al di sotto della soglia del Modern Energy Minimum, ovvero un consumo annuo di 1000 kWh. Oggi un italiano mediamente consuma oltre 4.500 kWh all’anno e questo dato è previsto in forte crescita.
Per sostenere un pianeta con 10 miliardi di abitanti l’imperativo è di produrre energia utilizzando quante meno risorse naturali sia possibile. Il tema di come produrre energia a basse emissioni di carbonio oggi oppone due soluzioni:una che si basa sulle energie rinnovabili intermittenti, eolico e solare, l’altra, invece, sull’utilizzo dell’energia nucleare. In questi giorni si è dibattutosul potenziale estrattivo dell’uranio a livello globale ovvero se nel pianeta siano disponibili,ed in quale entità,riserve e risorse tali da garantire le necessarie quantità di combustibile alle centrali nucleari nel futuro.
Le riserve di uranio, a livello globale, tra dimostrate e dedotte,ammontano a circa 8 milioni di tonnellate mentre le risorse inesplorate, la cui affidabilità è estremamente limitata, sono stimatedalla International Atomic Energy Agency, Iaea, in“WORLD URANIUM GEOLOGY, EXPLORATION, RESOURCES AND PRODUCTION” in circa 10 milioni di tonnellate.Un aspetto importante, che va adeguatamente compreso, è che le riserve vengono valorizzate mediante le prospezioni: la forza motrice delle riserve sono le esplorazioni compiute dalle compagnie minerarie ma, se i prezzi del metallo scendono, le compagnie non sono incentivate a rischiare capitali in costose prospezioni. L’ovvia conseguenza è che,in assenza di nuovi giacimenti,la sola estrazione comporti il calo delle riserve.
Il disastro del reattore di Fukushima Dai-ichi del 2011 in Giappone ha provocato, nei 10 anni seguenti, un calo dei prezzi dell'uranio ed un vero e proprio crollonei budget di esplorazione (Fig. 2). Solo nel 2021, complici le esigenze globali di energia a basse emissioni di carbonio ed i deboli risultati ottenuti dalle energie rinnovabili, pur generosamente sovvenzionate dai governi occidentali, i budget per le prospezioni dell'uranio sono aumentati del 10,7% su base annua:cifre comunque lontane dai picchi visti alla fine degli anni 2000. I prezzi, da un minimo di 40 dollari per chilogrammo,sono saliti fino a superare gli 80 dollari per chilogrammo. Tuttavia, sarà probabilmentenecessario superare la soglia dei 100 dollari per chilogrammo per riattivare le molte miniere poste in cura e manutenzione in questi anni,in attesa che le condizioni di mercato tornassero tali da giustificare la riapertura.
Pertanto prima difare previsioni sulle riserve e risorse effettivamente disponibili sarebbe opportuno attendere che i budget per l’esplorazione dell’uranio tornino a livelli simili a quelli degli altri “metalli della transizione”, anch’essicomunque sensibilmente inferiori a quelli di un decennio fa. Solo in questo modo è possibile identificare un trendnegativo, come nel caso di alcuni metalli di base, dove si è riscontato, a fronte di un aumento degli investimenti nelle prospezioni, un crollo dei successi nelle ricerche.Oppure un trend positivocon un aumento delle riserve dovuto all’interesse per le prospezioni destato dalla ripresa della domanda.
Spesso l’uranio è contenuto assieme al torio, in minerali come la monazite, nota per contenere anche elementi delle terre rare. C’è chi sostiene che l’estrazione dell’uranio da questi minerali distruggerebbe le terre rare, fondamentali per le tecnologie green come turbine eoliche o auto elettriche. Che questa sia un’affermazione priva di fondamento lo dimostrano sia comuni pubblicazioni dell’International Renewable Energy Agency, IRENA, o dell’International Atomic Energy Agency, IAEA,ma soprattutto l’industria mineraria stessa visti gli impianti presenti e proposti. Separare un minerale è un processo costoso, che ovviamente deve dare un profitto e, visti i bassi prezzi dell’uranio in quest’ultimo decennio, è evidente che l’estrazione come sottoprodotto non sia stataeconomicamente interessante.
Spesso poi sono scelte dei governi a vietare che questo accada. Nel noto giacimento di terre rare di Kvanefjeld in Groenlandia, la compagnia mineraria Energy Transition Minerals Ltd per aggirare il divieto imposto dalla legge del parlamento della Groenlandia che vieta la prospezione, l'esplorazione e lo sfruttamento dell'uranio ha proposto uno scenario di sviluppo alternativo, nel quale si propone di sfruttare solo elementi di terre rare, zinco e fluorite mentre l’uranio, invece di essere sfruttato, sarebbe rimosso come impurità e trattato e immagazzinato in modo sicuro nell'impianto di sterili.
Ma se l’obbiettivo è produrre energia consumando quante meno risorse naturali sia possibile allora è opportuno fare qualche calcolo. Per produrre oltre 2500 terawattora, TWh,di elettricità, nel 2019, sono servite circa 59.000 tonnellate di uranio alle centrali nucleari di tutto il mondo. Se volessimo produrre questa energia con dei pannelli fotovoltaiciservirebbero circa 1.400 impianti solari di potenza pari a 1 GW.
Mediamente per costruire uno solo di questi impianti servono circa 30.000 tonnellate di alluminio, 5.000 tonnellate di rame, oltre 200.000 tonnellate di calcestruzzo, oltre 100.000 tonnellate di acciaio, circa 46.000 tonnellate di vetro oltre a centinaia di tonnellate di altri metalli come nichel, cromo, molibdeno o titanio. E metalli preziosi come l’argento: ne servono oltre 10 tonnellate per un impianto da 1 GW. Se li moltiplicate queste quantità per 1.400 vi renderete conto la quantità di materie prime necessarie è di molte centinaia di milioni di tonnellate.
Se scegliessimo l’energia eolica servirebbero oltre 830“parchi” eolici a terra, onshore, un po’ meno, 680, se li posizionassimo in mare, offshore. In un “parco” eolico da 1 GWservono 200turbine eoliche da 5 MW. Una di queste turbine pesa complessivamente circa 900 tonnellate, a cui si sommano oltre 2.500 tonnellate di calcestruzzo. Per costruirla occorrono circa 750 tonnellate di acciaio e di minerale di ferro, 35 tonnellate di fibra di vetro, 25 tonnellatedi zinco, 1,5 tonnellate di nichel oltre, in base alle caratteristiche costruttive, da 5 a 25 tonnellate di rame o in alternativa oltre una tonnellata di terre rare.Come nel caso del fotovoltaico se moltiplicate questi numeri per il totale delle turbine necessarie è facile vi rendersi conto che si tratta di molte centinaia di milioni di tonnellate.
Energia, peraltro, profondamente influenzata dalla collocazione geografica di questi impianti. La stima del numero di “parchi” eolici si è basata sui dati della produzione dei paesi del Nord Europa dove i venti soffiano potenti e costanti, ci riferissimo al nostro paese questi numeri andrebbero quasi raddoppiati.
In realtà questi due tipi di energia non andrebbero posti a confronto perché quella nucleare è una produzione certa e programmabile, quella solare ed eolica, è intermittente ed inaffidabile. Risulta evidente come tecnologie “rinnovabili”necessitino di una colossale quantità di batterie per garantire un minimo di affidabilità oltre ad una quota di potenza aggiuntiva per ricaricarle nei momenti in cui tuttal’elettricità erogata viene destinata agli utilizzatori. Anche in questo caso stiamo parlando di milioni di tonnellate di materie prime.
E se da un lato nel computo dell’energia nucleare vanno aggiunti i materiali necessari alla costruzione delle centrali va anche rilevato che pannelli fotovoltaici e turbine eoliche vanno sostituiti ogni 20-25 anni e che le batterie hanno una durata sensibilmente inferiore, il tutto da confrontare con i 60 anni di vita dei reattori nucleari.
Sarebbe quindi opportuno riflettere sul fatto che non esiste una tecnologia in grado di fornire energia in modo pulito, e neppure gratuitamente: bisogna accettare impatti ambientali e costi ma in particolare confrontarsi con la vera crisi dell’Antropocene: quella delle risorsenaturali.