Ryanair piange per il “price cap” sui biglietti e minaccia di ritirare una flotta che ancora non ha
«Misure sovietiche» ha detto il ceo della compagnia aerea in merito alle decisioni prese dal governo sul caro-voli. E non chiamiamole più «low cost»
Ryanair reagisce al provvedimento del Consiglio dei Ministri di ieri, 8 agosto, che fissa una sorta di limite al costo dei biglietti aerei venduti in Italia. Il vettore irlandese, che per demerito nostro più che per merito suo, è la prima compagnia in Italia, ha chiesto al Governo italiano di “fermare le misure che interferiscono illegalmente, ai sensi del diritto dell'Ue, sul modo in cui le compagnie aeree fissano le tariffe dei biglietti aerei” specificando che “le compagnie aeree fissano i prezzi in base alla domanda e qualsiasi interferenza avrà un impatto devastante sulla crescita regionale dell'Italia, sull'occupazione, sul turismo, in particolare tra l'Italia e le isole maggiori Sicilia e Sardegna”. Stop, fermiamoci qui, perché sono parole che da chi ha avuto il tappeto rosso steso in parecchie regioni per vent'anni non si possono ascoltare e suonano, anzi, come un sommesso ricatto: se mi ostacoli smetto di investire in Italia con ripercussioni su sviluppo e occupazione.
Secondo Ryanair “il Governo Meloni ha approvato un decreto legge che interviene su una serie di argomenti tra cui i prezzi dei voli tentando di interferire con la determinazione delle tariffe, che avrà come conseguenza indesiderata l’aumento dei prezzi per tutti i passeggeri e non permetterà alle compagnie aeree di aprire nuove rotte poiché le tariffe basse promozionali della stagione intermedia influenzeranno i prezzi nei periodi di picco.”
Questo è vero soltanto in parte, poiché tra una stagionalità e l'altra intervengono molteplici fattori e lo scopo del vettore, cioè dell'impresa, è quello di fare più soldi possibile, non certo sviluppare l'aviazione nel nostro Paese, dove se in fatto di compagnie aeree andiamo male è soltanto per colpa nostra e per una cronica mancanza di pianificazione nella politica dei trasporti in generale e, nello specifico, in quella aerea, concentrata per 40 anni a salvare l'Alitalia fregandosene di tutte le altre imprese aeree.
Se Ryanair alzerà i prezzi per i collegamenti verso le isole in inverno, vorrà dire che per la prima volta sarà lei a subire la concorrenza di chi, invece, potrà proporre tariffe migliori. Dove invece il vettore ha pienamente ragione è nella seconda parte del comunicato stampa: “Se il Governo italiano intende ridurre le tariffe per le isole, deve abbassare i costi per portare più capacità, più passeggeri a tariffe medie più basse, anche durante le stagioni di picco.” Vero, fare impresa in Italia è poco remunerativo, e farlo con il trasporto aereo è difficilissimo. Se prendiamo un esempio positivo, come la giovane compagnia Aeroitalia, nata nel 2022, con 47,11 milioni di fatturato presenta un utile ante tasse di soli 6,72. Sia chiaro, un vero miracolo di efficienza il fatto che dopo un solo anno di attività presenti questi numeri, ma non ci vuole un master in gestione aziendale per capire che il margine è risibile rispetto all'impegno finanziario. Ma, diciamolo, per anni Ryanair ha goduto di un regime di assoluto favore soprattutto per un merito fiscale irlandese sommato alla dabbedaggine italiana. Se quindi la compagnia guidata dal ceo Eddie Wilson deciderà di non schierare nel nostro Paese buona parte dei 300 nuovi Boeing 737-Max ordinati (ma attenzione, in ritardo con le consegne da parte del costruttore, e i velivoli arriveranno tra il 2025 e il 2027), sta in realtà facendo il furbacchione paventando una flotta per aumentare la capacità da e verso Sicilia e Sardegna che ancora non possiede. Vedi mai che nei prossimi due anni l'Italia dell'aviazione si ridesti..
A onor del vero, e per completezza d'informazione, il lettore sappia che all'aviazione civile italiana servirebbe in realtà una cura da cavallo che questo provvedimento non potrà attuare, limitandosi a essere efficace per un periodo limitato e tutt'altro che strutturale. Dal piano nazionale degli aeroporti fino ai regimi fiscali per le imprese di trasporto aereo, fino alle scuole di volo (stiamo perdendo competitività proprio mentre il mercato chiede nuovi piloti), il Governo Meloni dovrebbe riconsiderare l'intero comparto a cominciare dall'accessibilità degli aeroporti da parte di chi fa impresa in questo settore. Ma è qualcosa che non è possibile fare con un decreto, una riforma per la quale serve una visione molto ampia che in Italia appare ancora molto dietro l'orizzonte.