L'unico modo per salvare l'Ilva è attuare il piano industriale. O sarà la fine
L'acciaieria ha comunicato che non pagherà le 150 aziende appaltatrici. Si rischia lo stallo, l'ennesimo intervento finanziario del governo in perdita e una mezza catastrofe occupazionale
Acciaierie d’Italia, la società voluta da Pd e 5 stelle durante il governo Conte due per gestire l’Ilva di Taranto, partecipata da Invitalia e ArcelorMittal Italia, non ha più liquidità per pagare le ditte appaltatrici. E quindi o sospende i lavori, o le fa lavorare senza pagarle.
La situazione era nota da mesi, ma la crisi energetica l’ha esasperata. E infatti tra le aziende creditrici c’è anche Eni, con cui Ilva ha un debito di 300 milioni per il gas.
Il presidente, nominato dalla parte pubblica, Franco Bernabè lo dice pubblicamente da mesi, l’ultima volta durante il Forum Ambrosetti: “Dopo la perdita di maggioranza da parte di ArcelorMittal, Acciaierie ha vissuto sostanzialmente senza aver accesso al credito bancario: le nostre difficoltà sono importanti, non di mercato, ma di funzionamento dell’azienda in queste condizioni, in cui l’azionista di riferimento ha perso le sue caratteristiche originarie di privato e c’è una compartecipazione di due azionisti che devono dotare l’azienda di risorse importanti” e al congresso nazionale della Uilm di fronte a tutti i sindacalisti: “fino ad ora devo dire che Acciaierie sono state gestite in una situazione che in tanti anni di esperienza non ho mai visto: senza accesso al credito bancario, senza finanziamenti degli azionisti”.
Questo, come detto dallo stesso Bernabè, che ripetiamo rappresenta la parte pubblica della società, è accaduto da quando ArcelorMittal, mandata via dal governo Conte dopo che ha eliminato lo scudo penale, ha deconsolidato la parte italiana del gruppo svincolandosi col nuovo contratto firmato dallo stesso Conte da ogni impegno precedentemente assunto dopo aver vinto la gara per l’acquisizione.
Il nuovo contratto prevedeva un piano industriale a 8 milioni di tonnellate con tre altoforni (tra cui la riaccensione di Afo5) e un elettrico. Inoltre apriva alla compartecipazione pubblico-privato da fissare al 2022 solo al realizzarsi del dissequestro degli impianti, di un nuovo accordo sindacale, e dell’autorizzazione ambientale al piano industriale a 8 milioni di tonnellate, necessarie per il raggiungimento del punto di equilibrio finanziario.
Nel frattempo ArcelorMittal ha continuato i lavori del piano ambientale investendo un miliardo di euro con ormai più del 90 per cento delle prescrizioni ambientali ottemperate.
Ma prima il covid, poi la crisi energetica hanno impedito di aumentare la produzione che oggi, a causa proprio della crisi di liquidità, è ferma ai 3 milioni di tonnellate.
Durante l’ incontro al Mise del 23 giugno 2022 il presidente Franco Bernabè ha detto a tutti i presenti: “oggi i la società ha problemi di accesso al credito e ha affermato la necessità del supporto del sistema bancario”. Quindi Giorgetti ha annunciato un intervento pubblico per l’aumento del capitale di un miliardo di euro che sono stati inseriti dal governo Draghi tramite il decreto aiuti bis, ma che dopo 4 mesi non sono mai arrivati all’azienda. E scadono a dicembre 2022.
Per questo venerdì scorso Acciaierie d’Italia ha inviato una lettera a 145 ditte dell’indotto (o meglio a una quarantine di ditte, per 145 ordini) chiedendo di sospendere i lavori.
A questo punto il ministro Urso ha convocato i sindacati per giovedì mattina. E prima di loro ha convocato anche Michele Emiliano, non si capisce perché, non avendo alcun ruolo nel tavolo che non è di competenza regionale. La cui unica competenza in realtà è quella di organizzare i corsi di formazione per i 1500 lavoratori che dall’accordo di Di Maio del 2018 sono rimasti in cassa integrazione straordinaria sotto Ilva in amministrazione straordinaria, per essere riassorbiti nel 2023 (poi da Conte posticipato al 2025) al ritorno degli 8 milioni di tonnellate.
Ma questi corsi di formazione della Regione Puglia dal 2019 non sono mai partiti, e quindi i 1500 lavoratori non sono ancora stati formati per nuove mansioni, professionalità, e quindi nuovi lavori.
L’incontro di giovedì con le parti sindacali quindi riapre un tavolo di crisi mai chiuso dal 2012, con governi che ogni volta riaprivano il dossier senza però mai fare l’unica cosa che ancora non si riesce a fare: attuare il piano industriale e far ripartire la produzione.
Il miliardo inserito nel decreto aiuti bis, quando arriverà, servirà per questo.