Se la Bce dimentica i problemi delle banche straniere
Tanta attenzione agli npl degli istituti (molti italiani) ma poca sui 6.800 miliardi di derivati in pancia alle banche tedesche e francesi
Negli ultimi mesi, l’organo di Vigilanza della Banca Centrale Europea è più volte intervenuto per porre l’attenzione del mondo intero – perlomeno, di quello finanziario – al tema dei cosiddetti NPLs (non performing loans). Sono i crediti deteriorati o, per usare termine meno edulcorato, i crediti marci.
Con la minaccia del cosiddetto "Addendum", cioè delle nuove norme ancora più restrittive su tali crediti in bilancio, l’organo di Vigilanza ha di fatto incentivato un mercato, quello dell’acquisizione dei titoli di credito, acquistati da banche con forte caratterizzazione speculativa. La maggior parte delle banche in difficoltà, a seguito di tali minacciate restrizioni normative, sono invece le banche del sud europa, e segnatamente le italiane. In estrema sintesi e in logica di semplificazione, parliamo dei crediti prestati a imprese, di difficile esigibilità.
Sta di fatto che l’organo di Vigilanza si è "casualmente" dimenticato di un’altra, ben più significativa minaccia. Non lo dico io, ma un soggetto istituzionale; la Banca d’Italia.
In uno studio pubblicato in questi giorni, emerge che i derivati in circolazione sono circa 12 volte i crediti in sofferenza, cioè quello di cui abbiamo appena parlato. Anche qui, per i derivati eviterò il termine tecnico, cioè titoli “illiquidi”, ovvero quelli classificati nei bilanci delle banche con le diciture “livello 2” oppure “livello 3” per dire esattamente cosa sono: titoli tossici.
Due considerazioni sono quelle che, in analisi dei rischi, vanno considerate: il peso e la probabilità del rischio. Quanto al peso, stiamo parlando di 6.800 miliardi: cioè una enorme bomba celata sotto sigle incomprensibili. Quanto al rischio che possa detonare, basti considerare che molti di questi titoli sono valutabili solo con un benchmark di mercato ad altri titoli similari quotati, mentre altri non sono affatto valutabili, perché non esiste un riferimento di prezzo ufficiale, nemmeno indiretto.
Ma allora chi stabilisce il valore? vi chiederete. Società di consulenza indipendenti, sarà la risposta ufficiale.
Pagate da chi? obietterete, lettori scaltri. Dalle stesse banche valutate, è la risposta completa.
In pratica, dietro astrusi modelli matematici le banche che hanno quei titoli giocano. Con le regole dei bilanci, in primis.
Come rileva la Banca d’Italia "…i principi contabili lasciano spazio ad interpretazioni…" e quindi "…le banche hanno dunque l’incentivo a usare tale facoltà per distorcere il prezzo valutativo…"
Tradotto per i non addetti ai lavori: quei prezzi sono fittizi. Basterebbe una oscillazione del prezzo di solo il 5% - rileva Bankitalia – perché il Capitale di qualità (cosiddetto CET 1) scenda per le 18 Banche europee più esposte verso tale spazzatura dal 14% a sotto l’11%. Insomma, tutta la pomposa campagna della stabilità del sistema bancario, incentrata sul requisito patrimoniale delle banche è solo fumo negli occhi.
Ma se lo capiamo noi, osservatori indipendenti, perché non lo comprende l’Organo di Vigilanza di una Banca Centrale?
Oh, comprende benissimo che il rischio nascosto nei derivati tossici nascosti nei bilanci delle banche sia enormemente più grave di quello insito nei crediti non performanti concessi dalle banche alle imprese. Solo che il secondo è un rischio assunto prevalentemente dalle banche italiane.
Il primo, quello davvero esplosivo, è invece per circa il 75% concentrato in Europa in due sole nazioni: Germania e Francia.
Or mi sovviene la domanda, forse non peregrina: ma la BCE non dovrebbe essere un organo imparziale?