Semplificazioni ok, ma mancano le liberalizzazioni
Economia

Semplificazioni ok, ma mancano le liberalizzazioni

Buoni i propositi contenuti nel disegno di legge. Ma il vero cambiamento consiste nel tagliare i lacci e laccioli ispirandosi a un principio di libertà

La prima cosa complicata è che si tratta di un disegno di legge e, per un provvedimento all'insegna delle semplificazioni , non è esattamente il massimo. Le 39 misure che il governo Letta ha proposto sono piene di buone intenzioni. Tuttavia, come si dice, lastricata di buone intenzioni è "la via dell'inferno". E gli inferi, fuor di metafora, stanno in quel triangolo del potere che va da palazzo Chigi al Montecitorio fino a palazzo Madama. Tra pidini e pidiellini, tra grillini e lobbisti, che cosa resterà di quel che ha approvato il consiglio dei ministri?

La seconda osservazione è apparentemente formale. Semplificare è fantastico, a chi non piace. Ma davvero si può fare lavorando norma su norma con una sorta di review a vasto raggio? Senza stabilire un criterio omogeneo, anzi un principio nuovo al quale ogni singolo comportamento deve ispirarsi?

I passaggi di eredità senza dichiarazione all'ufficio registro fino a 75 mila euro, i certificati di gravidanza solo online, i documenti al Pra solo telematici, cambi di residenza facilitati, la semplice segnalazione alla Scia per varianti nei permessi di costruzione, sono tutte rogne in meno per una vita quotidiana oppressa dai mille obblighi imposti da quel Leviatano che prende molto (anche il tempo non solo i soldi) e non dà a sufficienza. Dunque, se non saranno stravolti dai diavoletti e diavolino parlamentari, ben vengano.

Il tutor d'impresa per aiutare a svolgere pratiche complicate e farraginose è un'ottima idea. Per non parlare degli appalti aperti alle piccole imprese: semmai, c'è da chiedersi perché si sia arrivati fino a oggi prima di notare che i grandi, potenti e protetti, non lasciano agli altri nemmeno le briciole. Sembra un vezzo quello delle lauree in inglese se finalmente non si insegnerà nelle scuole italiane che Disney si pronuncia disni e non disnei, o che bend vuol dire curva e non complesso musicale. Comunque, sempre meglio cominciare.

Questa pioggia di micromisure lascia scoperto tutto quello che manca, esattamente come è accaduto al decreto del "fare" . In quel caso mancava un intervento efficace per ridurre la spesa pubblica corrente. In questo caso mancano le liberalizzazioni. Soprattutto non c'è quel salto culturale dal quale può scaturire davvero un attacco profondo al male oscuro della pubblica amministrazione e del suo rapporto oppressivo nei confronti dei cittadini. Cominciamo da quest'ultimo aspetto.

Il vero cambiamento consiste nel tagliare i lacci e laccioli ispirandosi a un principio di libertà. Si può fare tutto tranne quello che è espressamente vietato dalle legge penale o da quella europea. L'intervento avviene ex post non ex ante. Si puniscono le violazioni, non si fa la fila per chiedere mille permessi, compreso il permesso di esistere. È velleitario? È semplicistico non solo semplice? Si dice sempre così quando non si vuol fare le cose. "Prima bisognerebbe passare da un sistema ad alto tasso di legislazione orientato al legislatore come quello italiano a un sistema a basso tasso di legislazione orientato al giudice, come negli Stati Uniti dove se non ci sono potenziali danneggiati, il comportamento è giuridicamente corretto", spiega Giuseppe Di Gaspare, ordinario di diritto dell'economia alla università Luiss. Vasto progetto. Troppo vasto. Bisognerebbe addirittura mettere mano alla Costituzione. E una filosofia del genere non appartiene al Pd ma nemmeno al Pdl.

Può darsi tuttavia che le liberalizzazioni da tante parti evocate, in Italia non funzionano proprio perché quel principio semplice o semplicistico che dir si voglia risulta estraneo allo spirito collettivo. Nessuno l'ha mai messo al centro di una riflessione, di un confronto, di un dibattito culturale. Perché se si vuole far uscire l'Italia dal pantano, è chiaro che occorre cambiare i comportamenti non solo della politica, ma della società nel suo complesso.

Sembra ingeneroso caricare sulle spalle di un gabinetto d'emergenza quel che non è stato fatto da maggioranze più coeve e spesso molto forti. È una riforma di struttura che guarda al medio periodo. Così si difende il governo. D'accordo. Ma il tempo stringe e solo mettendo sul tavolo alcune consistenti riforme Letta può recarsi la settimana prossima al Consiglio Europeo e chiedere più spazio di manovra, proprio come fece nel 2003 Gerhard Schroeder, il cancelliere socialdemocratico, tirando fuori dalla tasca l'Agenda 2010.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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