Le sfide di Orsini e di Confindustria
Il nuovo corso di viale dell'Astronomia si preannuncia complicato e serve coraggio per alcune scelte obbligate ma impopolari anche tra gli industriali
Con il passo indietro di Edoardo Garrone le porte di Viale dell’Astronomia si sono aperte all'imprenditore emiliano Emanuele Orsini, destinato a diventare il nuovo presidente della Confindustria: il 4 aprile l’incoronazione da parte del Consiglio generale e il 23 maggio il voto dell’assemblea dell’organizzazione degli imprenditori. Per la verità Orsini non dovrà fare molta strada per piazzarsi nell‘ufficio del presidente: dal 2017 fa parte dei vertici di Confindustria nazionale e dal 2020 è vicepresidente con delega al fisco, alla finanza e al credito.
Chi è Orsini
Nato a Sassuolo nel 1977, guida la Sistem Costruzioni è una holding che controlla una quindicina di aziende, con un giro d’affari complessivo di circa 110 milioni. Un sistema ereditato dal padre. Come viene spiegato nel suo sito, La squadra di Sistem Costruzioni è stata artefice di progetti di ricostruzione per numerosi edifici nell’area colpita dai terremoti in Abruzzo, Emilia-Romagna e Marche; e ha avuto un ruolo importante nella realizzazione di infrastrutture e padiglioni in Expo 2015. Tra le principali società controllate da Sistem Costruzioni, c’è il Maranello Village, un complesso residenziale dedicato al mondo del Cavallino Rampante composto da bar, ristoranti, palestra e diverse zone polifunzionali.
Orsini presiede anche la Tino Prosciutti, specializzata nella lavorazione e nella produzione di prosciutto crudo, che appartiene alla moglie e fattura circa 70 milioni. A livello associativo è stato presidente di Assolegno (2013) e poi di Federlegno Arredo (2017).
Le sfide da affrontare
Un primo obiettivo che gli industriali dovranno darsi è contare di più in Europa. Come lo stesso Orsini ha spiegato, «Confindustria deve essere non a Roma e a Bruxelles ma prima a Bruxelles e poi a Roma» sostenendo che «serve una rapida consultazione tra tutte le filiere per predisporre un documento da presentare alle altre confindustrie europee e al governo italiano in vista della formazione della nuova Commissione Ue». Le partite che hanno visto le imprese italiane sotto attacco in Europa sono tante: i costi della transizione energetica, la rivoluzione degli imballaggi, la casa green con l’impatto sull’edilizia, l’automotive con il blocco delle vendite di auto a motore endotermico dal 2035, le regole per una siderurgia meno inquinante. Giustamente Orsini pensa che il lobbismo industriale debba ormai lavorare soprattutto in Europa più che a Roma, ma proprio per questo il suo lavoro verrà giudicato severamente dagli associati, sempre più insofferenti alle regole imposte da Bruxelles per ridurre l’impatto sull’ambiente, considerate dannose per la competitività. Insomma, si aspetteranno risultati e non parole.
Ma il nuovo presidente della Confindustria dovrà gestire anche un altro tema molto caldo: le retribuzioni. Molte aziende fanno fatica a trovare personale, il tasso di occupazione in Italia è a livelli record, sfiora il 62 per cento. I salari però non tengono il passo dell’inflazione e restano più bassi delle medie europee. Secondo l’Istat, nel 2023 le retribuzioni sono salite del 3,1 per cento, un aumento molto al di sotto dell’inflazione, che nel 2023 è stata al 5,7 per cento. Quindi è probabile che le associazioni di categoria si troveranno a dover affrontare richieste sempre più forti di aumenti salariali. Non a caso il programma di uno dei candidati in gara per la presidenza, Antonio Gozzi, auspicava un intervento più drastico proprio nel campo della contrattazione: «Confindustria deve farsi promotrice di un ripensamento dell’intero sistema di contrattazione nazionale». Il tutto con una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello in modo da dare maggiore libertà di aumenti salariali a chi può concederli.
Inoltre, come i suoi predecessori Orsini dovrà riuscire a coniugare gli interessi degli imprenditori medi e piccoli con quelli dei veri «padroni» della Confindustria, cioè le grandi aziende pubbliche come Eni, Poste e Leonardo, le quali secondo alcune indiscrezioni avrebbero proprio puntato sull’imprenditore emiliano. Un lavoro non facile.
Il peso politico
Alle ultime presidenze di Vincenzo Boccia e di Carlo Bonomi molti associati, rimproverano di aver ridotto il peso politico della Confindustria, di averle fatto perdere il ruolo di interlocutore privilegiato con il governo. Ma, verrebbe da dire, se la sono voluta proprio gli imprenditori italiani scegliendo negli anni passati figure pallide e poco carismatiche. La Confindustria ha avuto come presidenti persone del peso di Guido Carli, Gianni Agnelli, Vittorio Merloni, Luigi Lucchini, Sergio Pininfarina, Luca Cordero di Montezemolo, Emma Marcegaglia e i meno noti ma industrialmente solidi Antonio d’Amato e Sergio Squinzi. Uomini e donne di potere, soprattutto i primi, capaci di mettere sull’attenti i politici.
Ma quando si scelgono imprenditori sconosciuti come Vincenzo Boccia, titolare di una media società tipografica in Campania, o Carlo Bonomi, che un’impresa in senso stretto non l’ha neppure mai posseduta ma è presidente di Sidam, società biomedicale di Mirandola da 30 milioni di ricavi, risulta difficile riuscire a farsi ascoltare nella Capitale. Uomini cresciuti in Confindustria, poco conosciuti al di fuori dei corridoi dell’organizzazione.
A questo giro in gara c’erano candidati più famosi di Orsini: Antonio Gozzi è il leader dell’acciaio italiano, presidente di Federacciai e numero uno di Duferco. Edoardo Garrone è il re dell’energia verde. Invece ha vinto l’outsider, titolare di imprese completamente sconosciute ma ben inserito nella macchina di Viale dell’Astronomia. Dicono che Orsini abbia una grande capacità di fare squadra, di motivare e ascoltare, di circondarsi di collaboratori in gamba.
Vedremo. Forse sognare una Confindustria con più potere politico è fuori dal tempo, e Orsini farà bene quello che tutte le organizzazione datoriali fanno in Europa: limitarsi a curare gli interessi degli associati senza illudersi di avere un potere che ormai è svanito. Insieme alle grandi dinastie imprenditoriali.