Lo Smart Working può incidere per 37 mld di euro sulle imprese italiane
Economia

Lo Smart Working può incidere per 37 mld di euro sulle imprese italiane

La ricerca realizzata dall’Osservatorio Smart Working e i consigli alle aziende per muovere i primi passi verso un approccio “smart”

La tecnologia e le attuali modalità di lavoro offrono un ampio margine di manovra nell’ambito delle logiche organizzative aziendali, ma in Italia tutto il processo legato a quello che viene definito Smart Working procede piuttosto a rilento.

Dalla ricerca dell'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano realizzata attraverso il coinvolgimento di 600 aziende operanti in Italia e 1.000 utenti business emergono numeri interessanti: l’adozione di modelli di lavoro “smart” e l’impiego di soluzioni ICT può aumentare la produttività delle aziende per 27 miliardi di euro e ridurre i costi fissi di gestione per 10 miliardi di euro.

Telelavoro, utilizzo di device digitali per la comunicazione, flessibilità oraria, riduzione delle spese di trasferta attraverso l’utilizzo di web e video conference e la riorganizzazione degli spazi che dovrebbero prevedere ambienti più aperti, flessibili e orientati alla collaborazione, sono alcune delle possibili “risorse” a cui le aziende potrebbero guardare.

Un nuovo approccio al lavoro che coinvolge necessariamente le policy organizzative interne ma che può portare risultati tangibili. Nonostante l’Italia sia in ritardo in termini generali si riscontrano segnali positivi con un aumento dell’8% di telelavoratori (almeno occasionali) nell’ultimo anno passando dal 17% del 2012 al 25% del 2013.

In molti casi, in particolare nelle PMI, nonostante la flessibilità nell'orario di lavoro sia presente nel 25% delle imprese, viene effettivamente offerta a tutti i dipendenti solo nel 10% dei casi mentre il telelavoro è presente nel 20% delle imprese ma è concesso a tutti i dipendenti in meno del 2% dei casi. Nelle grandi aziende italiane la situazione è diversa e si calcola che la diffusione della flessibilità nell'orario di lavoro è il triplo delle PMI, quella del telelavoro doppia.

Sul fronte Mobile e Social si prevedono interessanti progressi: nel biennio 2014-2015 il 71% delle grandi aziende prospetta un incremento del budget da destinare all'acquisto di nuovi mobile device come i tablet per incoraggiare la crescita dei Mobile Worker. Un ruolo rilevante sarà inoltre ricoperto dalle tecnologie Cloud.

Per approfondire il tema abbiamo parlato con Emanuele Madini, Ricercatore dell’Osservatorio Smart Working:

Quali sono i primi passi che un'azienda dovrebbe compiere per diventare più "smart"?

Le aziende possono iniziare ad approcciarsi allo smart working in 5 passi:

1) Confrontarsi con altre realtà che hanno già intrapreso questo percorso per meglio comprendere quale tipologia di Smart Working meglio si adatta ai loro obiettivi

2) Rilevare le esigenze delle proprie persone per identificare i target potenziali e definire il modello di sperimentazione dello Smart Working

3) Partire in piccolo, con dei progetti pilota, identificando con cura i profili più idonei, monitorando i risultati e identificando possibili interventi correttivi

4) Definire, sulla base dell’esperienza maturata dai progetti pilota, il modello complessivo di Smart Working, creando un business case che permetta di valorizzare i risultati positivi ottenuti dal progetto per aumentare il livello di coinvolgimento da parte delle persone

5) Definire le modalità di lancio del progetto prestando particolare attenzione alle azioni di gestione del cambiamento sulle persone e i manager, che rappresentano un aspetto molto critico del progetto poiché una comunicazione non adeguata può avere delle ripercussioni negative

Esistono figure professionali all'interno delle aziende più adatte ad applicare un modello di smart working?

I profili professionali caratterizzati da un elevato grado di mobilità sono apparentemente i candidati ideali allo Smart Working: tali professionalità (venditori/manutentori) già ad oggi presentano delle caratteristiche tipiche degli smart worker (flessibilità nella scelta del luogo, dell’orario di lavoro, valutazione per obiettivi) ma non sono le sole categorie a poter goder appieno dei benefici che tale approccio permette di ottenere.

Nelle aziende, infatti, molte categorie di professional presentano delle esigenze che fanno di loro dei possibili candidati all’adozione dello Smart Working: basti pensare alle madri/padri che hanno la necessità di andare ad accompagnare i figli a scuola, oppure coloro che abitano molto distanti dal posto di lavoro. A questi si aggiungono anche persone che, pur senza avere esigenze particolari, si trovano meglio a svolgere parte delle loro attività lavorative in luoghi diversi dall’ufficio o ad orari inusuali perché riescono a rimanere più concentrati o a svolgerle in modo più efficace.

Lo Smart Working è quindi adatto a tutti anche se, da quanto emerge dalla Ricerca dell’Osservatorio, molto spesso l’adozione di tale modello viene ancora vista come una prerogativa del management, un benefit da concordare a profili senior e più agli uomini che alle donne.

Quali sono in Europa le nazioni in cui questi modelli sono più sviluppati?

La diffusione di modalità di lavoro di tipo Smart sono più diffuse nei paesi del Nord Europa dove tali forme di flessibilità oraria e di luogo di lavoro presentano tassi significativamente più alti rispetti a quelli italiani. Questo vale sia per forme di flessibilità di luogo di lavoro più tradizionali come ad esempio il telelavoro - nella cui classifica europea l’Italia si posiziona al 25simo posto (su 27) con il 2,3% dei lavoratori che telelavora per almeno un quarto del tempo lavorativo, a fronte di paesi come la Repubblica Ceca (15,5%) e la Danimarca (14,4%) -, sia per forme di flessibilità in termini di gestione dell’orario di lavoro che in Italia ha un tasso di diffusione del 32%, da paragonarsi con il 62% della Danimarca, il 61% della Svezia e il 52% della Germania.

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Luca Orioli

Mi chiamo Luca, classe '83, esperto di comunicazione, giornalista free lance e 'startupper' da una vita con una decina di progetti chiusi nel cassetto che stanno lentamente prendendo forma. Appassionato di fotografia e serie tv, ho una formazione umanistica e l’estremo bisogno di vedere cose nuove.
Qualche anno fa, terminata l’Università [degli Studi di Milano, laurea in Scienze dei Beni Culturali], mi sono ritrovato un po’ spaesato nell’affacciarmi sul mondo del lavoro. Leggevo annunci dove ricercavano account, responsabili risorse umane, project manager o community manager, etichette che sembravano nascondere un mondo, ma per me completamente prive di significato. Dopo diverse esperienze ho intrapreso la strada che sto percorrendo oggi, ma da quel momento è rimasta l'esigenza di tradurre in parole comprensibili il mondo delle professioni. Così nasce il mio blog, Lavoro in Corso.

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