Così cresce la spesa pubblica per la non autosufficienza
Oggi ammonta a 9,2 miliardi di euro, ma nei prossimi 30 anni potrebbe passare dall'1,9% al 3% del pil
Occorre ripensare il welfare e l’equilibrio tra spesa pubblica e privata perché, nei prossimi 30 anni, la spesa pubblica per la non autosufficienza passerà dall’attuale 1,8% al 3% del Pil, mentre già adesso i cittadini italiani spendono 9,2 miliardi di euro per fronteggiare la non autosufficienza.
È il dato che emerge dall'ultimo studio del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, pubblicato nel Quaderno di approfondimento "Le sfide della non autosufficienza" redatto con il supporto scientifico di Assoprevidenza.
L'invecchiamento della popolazione
L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno dalle dimensioni ormai largamente riconosciute anche in Italia: il nostro Paese è tra i più longevi al mondo, con una speranza di vita residua a 65 anni più elevata di un anno per entrambi i generi rispetto alla media Ue (19,1 anni per gli uomini e 22,4 per le donne). Secondo recenti stime Istat, nei prossimi 20 anni la quota di persone over 65 supererà il 29% (con un aumento di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2016) e quella degli over 85 oltre il 5%: il tutto mentre si consuma, da dieci anni a questa parte, un significativo aumento dell’incidenza di patologie croniche o altri problemi di salute tra gli ultrasettantacinquenni.
La pressione generata dall’invecchiamento della popolazione e le sue ricadute socio-economiche, spiegano gli esperti di Itinerari Previdenziali (che è diretto dall'economista Alberto Brambilla), fanno della non autosufficienza uno dei temi 'caldi' del dibattito sulla riorganizzazione dei sistemi di welfare. Il Quaderno di approfondimento trae le sue premesse dalla necessità di porre la non autosufficienza come priorità assoluta del Paese. "Nonostante i continui allarmi demografici ed economici, è evidente - sottolinea Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali - che l’Italia sia ancora largamente impreparata ad affrontare questa sfida, anche per ragioni di tipo culturale. Il ritardo del nostro Paese nel predisporre una copertura di tipo universalistico, con costi accessibili e servizi di assistenza capillari e qualificati, è attribuibile infatti anche alla mancanza di consapevolezza dei cittadini che, se per il 40% neppure conoscono le prestazioni pensionistiche integrative e per il 70% non intendono provvedere alla previdenza complementare, alla non autosufficienza non pensano proprio. Anzi, il problema è spesso affrontato solo quando accade nel proprio giardino di casa".
La spesa totale
Eppure, evidenzia il Quaderno, i cittadini italiani già spendono 9,2 miliardi di euro per fronteggiare la non autosufficienza: una cifra, verosimilmente sottostimata in quanto in larga parte imputabile a badanti (spesso irregolari), che va ad aggiungersi ai 31,2 miliardi di euro di spesa già sostenuta dallo Stato. E le previsioni non sono ovviamente rosee per il futuro: nei prossimi 30 anni, la spesa pubblica per la non autosufficienza passerà dall’attuale 1,9% a oltre il 3% del Pil.
"Naturalmente, le responsabilità -commenta Brambilla- sono anche dei policy makers che, solo di recente e dopo varie titubanze sul tema Ltc (long term care) e agevolazioni fiscali, hanno mosso passi avanti. Le famiglie, come è giusto, svolgono un gran lavoro, ma non possono essere lasciate a loro stesse per mancanza di guida, orientamento e aiuto da parte del welfare pubblico. Occorre, inoltre, agire su educazione prevenzione".
Due gli aspetti su cui si concentra il Quaderno: innanzitutto, la riflessione sull’obbligatorietà (o meno) dell’adesione a forme di protezione dal rischio di non autosufficienza, particolarmente rilevante in Italia dove la stipula di polizze assicurative per cure a lungo termine è appunto ancora scarsamente diffusa e, in secondo luogo, le modalità di presa in carico del soggetto non autosufficiente e, quindi, i livelli di servizi integrati da offrire anche in virtù del pressante tema del finanziamento.
"Prima ancora di dibattere tra fautori dell’una o dell’altra soluzione, e al di là delle delicate scelte da affrontare, c’è stata - prosegue Brambilla - una totale convergenza sulla necessità di introdurre formule Ltc, ancora più importanti alla luce di fenomeni sociali come l’atomizzazione dei nuclei familiari".
I segnali positivi in questa direzione non mancano e arrivano in particolare dal confronto tra le tariffe relative all’adesione di tipo collettivo o individuale a una polizza long term care: oltre a garantire costi dieci (e più volte) inferiori, una soluzione di tipo collettivo, spiega, "costituirebbe un’opzione di grande valenza sociale, poiché garantirebbe una copertura a prezzi accessibili, e dunque democratica, vale a dire non discriminante rispetto alle capacità economiche dell’iscritto e rispetto ai diversi 'profili di rischio' del soggetto assicurato all’interno della platea di riferimento; con l’effetto di garantire automaticamente copertura anche a quanti ne hanno più bisogno".