Stabilità, crescita e credibilità. La richiesta dei mercati sul voto. Chiunque vinca
Più che un nome al mondo della finanza interessano fattori in grado di dare tranquillità al settore degli investimenti
Il problema non è tanto chi vince o chi perde le elezione, ma come il futuro esecutivo affronterà i temi chiave per il futuro dell’Italia ovvero la crescita, l’attuazione del Pnrr, il nodo fiscale e il debito pubblico. E’ questo che i mercati – in un momento di apparente calma e senza grandi rally – attendono di vedere per capire se reagire bene o male all’esito delle prossime elezioni.
La sfida dell’Italia a una congiuntura economica negativa
Come se la sfida non fosse già di per sé complessa ci si mette pure la congiuntura economica negativa con la crisi energetica, l’inflazione e il rialzo dei tassi a bussare alla porta di un’Italia che i mercati non vedono poi neppure tanto fragile come si potrebbe pensare, tanto più se si pensa che le elezioni in Italia non sono certo una grande novità.
Ne è convinto il professor Antonio Mele, economista e Professore di Finanza all'USI oltre che Senior Chair presso lo Swiss Finance Institute.
“In questo momento uno dei temi più sensibili per i mercati –spiega Mele - è proprio quello dei rialzi dei tassi. Sebbene sembri relativamente chiaro quello che sarà lo scenario politico in seguito alle elezioni credo che indipendentemente dai risultati esista uno scenario macroeconomico internazionale in generale e italiano in particolare che non è dei migliori. Crisi energetica e stagflazione europea sono accompagnate da politiche monetarie della Bce che sono alquanto restrittive. Tali politiche potrebbero anche funzionare nella misura in cui esistano le condizioni per supportare l’aumento dei tassi di interesse, ma io credo che indipendentemente dalla compagine politica che andrà al governo sarà difficile mitigare l’aumento dei tassi in un Paese che vede nel rapporto debito/Pil al 150% uno dei problemi più macroscopici. In questo contesto l’Europa andrà a chiedere all’Italia un consolidamento fiscale importante giusto in un momento in cui l’Italia ha bisogno di una politica dei redditi volta a contrastare l’inflazione. Chiunque, quindi, finirà a Palazzo Chigi avrà problemi nel gestire il debito pubblico e i mercati del credito potrebbero riprezzare il debito pubblico italiano che in questo modo perderebbe di valore causando i prodromi di una crisi del debito”.
Il rapporto tra debito pubblico e politica monetaria
“In mancanza di altre indicazioni in merito agli sviluppi del costo dell’energia se non esiste un rientro spontaneo dell’energia – cosa che non può esistere prima di due o tre anni – potrebbe esserci l’interazione tra politica restrittiva e contenimento del d bito pubblico. Che vinca le elezioni il centro destra o il centro sinistra cambia poco. Lo scenario peggiore è quello in cui avvenga un attacco speculativo verso il debito pubblico italiano”
Secondo Mele, però, si tratta di un’ipotesi improbabile vista l’attenzione dell’Europa circa l’attuazione dei piani nazionali di recupero e resilienza.
Il nodo del Pnrr
Proprio intorno al Pnrr si gioca un’altra importante partita politica ed economica. Per ricevere la prossima tranche di fondi a dicembre, Roma deve raggiungere 55 nuovi obiettivi nella seconda metà del 2022 per un valore di 19 miliardi su linee guida che Bruxelles ha affermato che è possibile solo perfezionare. Su questo le forze politiche si dividono tra coloro che ritengono che quanto attuato dall’ex Presidente Draghi sia già di per sé soddisfacente e chi punta a modificare le carte in tavola.
Pnrr: si va verso la rinegoziazione
“Si tratta di due visioni completamente opposte – puntualizza il Professore di Finanza Mele – ma io non sono pessimista sulla possibile revisione del patto. Io credo che l’Europa stia attraversando un periodo storico che farà sì che l’Italia venga parzialmente “graziata” nel senso che sarà data al Governo la possibilità di negoziare per qualche mese in più e l’Italia dovrà essere portata davanti a un tavolo di negoziati leggermente più forte. Io non sono affatto sicuro che i numeri del Pnrr del 2020 possano essere sostenibili oggi a fronte di tutti i cambiamenti subiti in due anni di storia europea”.
Errore da evitare, secondo Mele, è quello di stigmatizzare l’Europa e scivolare il pericolosi populismi
“Quello che un eventuale governo dovrà evitare di fare è dissacrare l’Europa come venne fatto da taluni movimenti politici quattro anni fa perché il margine di dialogo c’è e in questo momento l’Italia non è nelle condizioni di mettersi contro l’Unione. Non credo che esista questa deriva populista, ma il monito è chiaro”.
I mercati sono delle delle “creature” molto suscettibili che amano stabilità e continuità e diversi analisti si chiedono se in questo momento temano di più che il Pnrr venga toccato o resti così come stato firmato e consegnato dall’esecutivo Draghi.
“I mercati sembrano ragionevolmente convinti che vi sarà una rinegoziazione del Pnrr ed è questa la ragione per cui gli spread attuali restano tranquilli e non sembrano riflettere il rischio di una non attuattività del Pnrr. Il piano così com’è necessita almeno di una revisione dell’8 o 10% che è la percentuale dell’inflazione. Ci sarà pertanto un gaming politico che alla fine abbatterà ogni timore di non attuazione grazie a una rinegoziazione che terrà conto dell’inflazione”.
I mercati sanno quello che non vogliono
E poi c’è il nodo delle politiche fiscali, altro tema sul quale i mercati sono tradizionalmente molto suscettibili.
“Parliamoci chiaro: l’Europa semplicemente non vuole che ci siano misure fiscali simili a quelle precedentemente avanzate nel 2018 dal governo giallo-verde, ovvero flat tax, pace fiscale etc. Però nella compagine governativa che potrebbe uscire da una maggioranza di centro destra esistono forze che continuano a sostenere tali linee e questo ai mercati non piace. L’entropia fa male ai mercati, questo è chiaro. Se nelle prossime settimane si dovessero concretizzare le proposte fiscali che non piacciono ai mercati ci si potrebbe aspettare una crisi del debito che farebbe male all’Italia”.
Nel peggiore dei casi cosa potrebbe succedere all’Italia se la nuova compagine di Governo creasse tensione ai mercati?
“Il debito pubblico diventerebbe più caro per i mercati; debito che in questo momento è in gran parte nelle mani delle banche italiane e questo è un male perché se le banche subiscono una perdita dovuta al riprezzamento del debito pubblico italiano significa che il debito vale di meno perché gli interessi stanno aumentando e quindi diventa più difficile sostenerlo e in questo modo le banche vanno in perdita e questo si potrebbe tradurre in una contrazione dei prestiti e si aprirebbero scenari recessivi”.
E per evitare il concretizzarsi di tali scenari come bisognerebbe attuare?
“Il tema centrale è che in questo momento che crediamo o non crediamo in questa Europa noi abbiamo bisogno dell’Europa. Il Pnrr con una possibile proroga dei tempi di consegna del progetto e una maggiore clemenza della commissione verso alcuni elementi di dubbio in merito alla sostenibilità del debito pubblico italiano da parte del prossimo governo necessitano della capacità di dialogare con l’Europa. Il nuovo esecutivo, quindi, tra Ministri e tecnici dovrà in primo luogo essere credibile in Europa cosa che il Governo Draghi, piaccia o no, era. Oltre alla credibilità bisognerà dar priorità a politiche di crescita e sviluppo, cosa che i mercati sanno quanto sia importante e nello stesso tempo difficile per l’Italia. Basterebbe già avere una politica industriale più moderna per creare le condizioni per tranquillizzare i mercati rendendo il rapporto debito pubblico/Pil relativamente più stabile”.