Stipendi: le differenze fra ceo e lavoratori sono sempre più ampie
Si allarga il divario fra top managment e la base, complice il fatto che le retribuzioni dei dipendenti restano al palo
Negli anni Cinquanta, la differenza retributiva fra un ceo e i dipendenti era di 20:1. Negli anni anni Ottanta è passata a 42:1. Nel 2000, a 120:1. Adesso, secondo i dati elaborati da Business Week , il “pay gap” si misura in uno scarto di 204 punti, considerata la base della media dei compensi delle aziende di Standard & Poor 500. Se si analizzano solo le prime cento imprese, la differenza cresce ulteriormente fino a toccare quota 495. Un numero astronomico che, in alcuni casi, lievita anche a dispetto dell’andamento delle aziende. E’ un esempio quanto successo in JC Penney . Nel novembre del 2011, incapace di imprimere una svolta ai conti in rosso della catena di abbigliamento, il ceo Ron Johnson ha lasciato la poltrona, portando a casa (considerate tutte le voci della retribuzione) un compenso record pari a 1.795 volte lo stipendio medio di un dipendente JC Penney e quasi 18000 volte lo stipendio medio di un commesso della grande distribuzione.
Al secondo posto della classifica dei manager più pagati in relazione allo stipendio dei dipendenti, c’è Michael Jeffries, ceo di Abercrombie & Fitch che, nel 2012 ha guadagnato 48,1 milioni di dollari, complice la redimibilità di alcune azioni. Nel 2011, David Simon, ceo del gruppo immobiliare Simon Property Group ha incassato 137,2 milioni di dollari, un dipendente della stessa società porta a casa in 86mila dollari. Risultato: il ceo ha percepito 1.594 volte lo stipendio di un lavoratore medio. Al quarto e al quinto posto dell’elenco delle discrepanze, ci sono Oracle e Starbucks, evidenzia The Atlantic che sottolinea come l’allargamento fra i due estremi sia determinato anche dal rallentamento dell’aumento dei salari dei lavoratori. La discrepanza fra i compensi varia grandemente da un settore all’altro. Le maggiori differenze nelle retribuzioni si ritrovano nella finanza e nei prodotti di consumo, seguono industria, comunicazione, salute ed energia.
Secondo l’esperto di management Peter Drucker , si tratta di valore “moralmente e socialmente imperdonabile”, come scriveva nel 1984. Drucker, scomparso nel 2005, teorizzava la necessità di contenere la differenza fra i compensi del ceo e dei lavoratori. Il limite massimo appropriato, secondo l’esperto, deve essere di 20:1 o al massimo di 25:1. Al di là di questi equilibri, per Drucker, si innesca un meccanismo che mina lo spirito di gruppo e promuove la cultura del “vincitore che prende tutto”. Un atteggiamento mentale che, sul lungo periodo, tende ad avvelenare la salute di un’impresa. “Non mi riferisco agli operai, loro pensano male del loro capo in ogni caso”, scriveva Drucker. “Il problema si pone per il management per cui, di fronte a questi numeri, scatta una sorta di disillusione”.
I casi virtuosi non mancano: esistono imprese, come la catena di supermercati biologici Whole Foods Market , che ha stabilito in 19:1 il limite massimo nel rapporto fra il compenso del ceo e dei dipendenti, ma c’è chi fa notare che il calcolo non tenga conto di stock option e benefit pensionistici. Dopo il crack di Lehman Brothers, il pacchetto di riforme finanziarie approvate nel 2010 con il nome di Dodd-Frank cerca, fra l'altro, di porre rimedio alla disparità dei redditi fra top management e lavoratori, anche nel tentativo di indirizzare le scelte degli investitori responsabili. L’attuazione, però, è ancora lontana: la Security & Exchange Commission incaricata di mettere a punto una modalità per il calcolo dei redditti del vertice non ha ancora trovato una soluzione. E il pay-gap continua a crescere.
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