Le differenze sempre più ampie ed insensate di stipendio tra under ed over 35
I dati di una ricerca dimostrano come la forbice degli stipendi tra le varie generazioni sia sempre più ampia, e sempre meno motivata
Un lavoratore under 35 oggi guadagna in media il 40% in meno di un collega ultra 55enne. Era il 20% nel 1985. D’accordo che l’esperienza va remunerata (non dimenticando che su certe professioni non va di pari passo con l’età), ma perché in trent’anni è raddoppiato il gap generazionale parlando di buste paga e carriera?
Lo studio “Paesi per vecchi, analisi del divario salariale per età” sui dati Inps fotografa un mondo del lavoro in Italia dove i lavoratori “anziani” occupano i posti ai vertici e guadagnano il 40% in più dei colleghi under 35. La ricerca mette in luce un invecchiamento dei posti di lavoro (uffici o fabbriche che siano): nel 1985 l’età media era di 35,8 anni, oggi (i dati disponibili sono del 2019) è di 42,7 anni. Il mondo del lavoro è invecchiato del 19%. “E’ un dato che si spiega facilmente con il trend dell’invecchiamento della popolazione (speranza di vita salita 83,3 anni e nascite passate da 18,1 ogni mille abitanti a 7,3 in oltre trent’anni ndr), con l’allungamento dell’età pensionabile e con l’invecchiamento dell’entrata nel mondo del lavoro, perché la formazione e lo studio durano di più”, spiega Sabrina Bonomi, professoressa di organizzazione aziendale all’Università e-Campus e socia fondatrice della Scuola di Economia Civile.
Lavoratori in media più vecchi, dunque, ma lavoratori soprattutto con una disparità economica di stipendio raddoppiata in trent’anni: dal 20% del 1985, al 40% del 2019. Ci sono sicuramente ragioni economiche. La crescente esternalizzazione delle imprese, il riposizionamento della produzione italiana da settori ad alta produttività e quindi alti salari a quelli a produttività più bassa (come i servizi) e con un lavoro più precario e meno remunerato per natura e dove si concentrano soprattutto i giovani. “Il salario di un giovane che entra nel mondo del lavoro è “normalmente” più basso, ma ha dentro di sé la parte di formazione, che non viene quantificata. Ti do 1000 euro, ma la formazione che ti garantisco ha un valore di 500 euro. Ma, e questo è il problema, dobbiamo garantire questa formazione e la programmazione della carriera. Garantire che quei 1000 euro (+500 di formazione che non vedi) diventano 1500 in busta paga tra un anno, 1500 euro in due anni e così via”, spiega Bonomi. Se ci fosse tutto questo, formazione e progressione programmata, il gap salariale avrebbe un senso e si fermerebbe a un certo punto. A incidere c’è poi la mentalità italiana che è più propensa a investire sul tradizionale e meno sull’innovazione, sull’impresa giovanile che è vista come più rischiosa e con meno valore economico.
C’è anche la questione ingorgo. I lavoratori anziani non lasciano posti e carriera alle nuove generazioni e l’attesa di una scrivania al sole diventa sempre più lunga. Se trent’anni fa un over 55 stava nella propria impresa in media dieci anni, nel 2019 questi salgono a 15 anni. Quindi l’under 35 oltre ad avere uno stipendio più basso ha anche meno possibilità di fare carriera e raggiungere posizioni meglio retribuite. Si sposta allora, ma anche questo migrare di azienda in azienda secondo le stime della ricerca vale il 20% in meno in termini di stipendio rispetto a trent’anni fa. “L’età pensionabile si è alzata, ma non è solo per questo che gli “anziani” non smettono di lavorare. La questione è culturale. Come si pianifica la carriera, bisogna insegnare a pianificare il ritiro. Le persone vanno educate a tenere in armonia i tempi del lavoro e della vita privata. Così a un certo punto la scrivania si lascia alla nuova generazione e si fa altro, magari anche formazione volontaria ai più giovani”, continua Bonomi.
E invece? Invece in questi trent’anni la probabilità che giovani ricoprano posizioni manageriali è diminuita di due terzi, aumentando dell’87% per i più anziani. “Servirebbe un patto intergenerazionale. Non serve al mondo del lavoro, all’economia e alla società avere due schieramenti: giovani contro anziani. Serve una pianificazione di carriera per i giovani e di uscita per i più anziani, un’educazione culturale all’aiuto reciproco e al vedere la vita non solo come lavoro per sempre”, conclude la professoressa.
Non siamo comunque soli. Il divario salariale sulla base dell’età è aumentato per esempio negli ultimi vent’anni del 10% negli Stati Uniti, dell’11% nel Regno Unito e del 17% in Danimarca. Eccezione è l’Australia invece dove negli ultimi trent’anni l’età media dei lavoratori si è alzata solo del 6,2% e la disparità salariale giovani-anziani del 3,6%.