La storia di Alitalia, finita male
Dal 1947 ad oggi i passaggi salienti della storia della compagnia di bandiera, passata dai fasti al fallimento
La compagnia aerea Alitalia è stata uno dei simboli stessi dell'orgoglio italiano del secondo dopo guerra; di quell'Italia capace di rialzarsi rimboccandosi le maniche con progetti, investimenti, idee e talenti in grado di vincere le regole della storia e dei mercati.
La nascita di Alitalia
Quando, il 5 maggio 1947 decollò il primo volo Alitalia, allora proprietà di IRI, fulcro dell'intervento pubblico nell'economia italiana, in pochi avrebbero scommesso che la compagnia di bandiera nel giro di poco più di un decennio (1953) avrebbe raggiunto i 3 milioni di passeggeri che sarebbero diventati 10 milioni nel 1982 quando la aerolinea era la terza compagnia aerea europea dopo Lufthansa e British Airways.
Gli anni d'oro di Alitalia
Una compagnia elegante e in crescita che negli anni '60 vestiva le hostess con divise Laura Biagiotti ed era l'unica in Europa a volare con motori a reazione.
Salire su un aereo Alitalia è poi diventato doveroso e normale negli anni '80 quando 10 milioni di italiani si muovevano utilizzando la compagnia di bandiera sia per svago sia per lavoro. A inizio anni '90 il personale Alitalia vestiva Armani e la business class era di altissima categoria con pasti firmati da chef rinomati e attenzione maniacale al benessere del passeggero.
Poi sono iniziati i guai.
La liberalizzazione dei mercati
L'evento assiale che ha segnato l'inizio del declino di Alitalia è stato, a detta degli analisti, la liberalizzazione del trasporto aereo avvenuta negli anni '90.
L'apertura dei mercati ha visto l'irruzione delle compagnie low cost nei cieli d'Europa e l'aumento della concorrenza sulle tratte a breve percorrenza a livello mondiale avrebbe imposto ai vertici di Alitalia la definizione di nuove strategie di mercato direzionate verso la privatizzazione e verso seri investimenti sulle rotte a lungo raggio e sulle tratte intercontinentali, cosa che Alitalia non ha fatto pur avendo avuto tra le mani, nel 1997, la reale e concreta possibilità di realizzare già allora quella rivoluzione copernicana essenziale e mai avvenuta autorizzando la fusione con la compagnia aerea olandese Klm che, a contrario di Alitalia, era forte sul lungo raggio e debole sulle rotte brevi.
Il fallimento delle trattative con Klm
L'alleanza tra le due realtà avrebbe sancito la nascita dei gioiellino perfetto: Alitalia solida sul corto raggio e Klm preparata sui voli intercontinentali. Solo che Klm puntava allo spostamento dell'hub di Alitalia da Fiumicino a Malpensa e il ridimensionamento del personale italiano cosa che ha fatto fare un salto sulla sedia ai sindacati nostrani che si sono messi di traverso iniziando un lungo braccio di ferro politico economico su più fronti.
Le lungaggini della burocrazia italiana hanno portato, così, gli olandesi a rinunciare al progetto disposti perfino (nel 2000) a pagare la penale di 250 milioni di euro pur di lasciarsi alle spalle un cattivo affare.
Air France
Nel '93 già Air France aveva provato a lanciare il progetto di fusione con Alitalia, ma anche in quel caso il veto incrociato di sindacati e politica aveva dissuaso i francesi.
La privatizzazione del 37% della compagnia datata 1996 a opera del Governo Prodi ha portato più danni che benefici e l'uscita di scena di Klm nel 2000 ha determinato l'ennesimo punto a capo nella storia di Alitalia.
Nel frattempo i conti sono continuati a peggiorare e i passeggeri a diminuire; lo Stato da una parte privatizzava e dall'altro rifinanziava creando un buco nero di sprechi e scivoloni.
Passa il tempo; arriva il 2006: si torna a parlare di privatizzazioni con il 39,9% di Alitalia sul tavolo degli investitori.
Sebbene Air France, per la seconda volta, si fosse detta disposta a rilevare i cocci di Alitalia l'allora premier Berlusconi ha preferito salvaguardare l'italianità di Alitalia quotando in Borsa l'azienda rilevata dal CAI (Compagnia Aerea Italiana), una holding di imprenditori passati alla storia come i "capitani coraggiosi".
"I capitani coraggiosi"
Il piano di Alitalia Cai (Progetto Fenice) era quello di sviluppare il business sui voli nazionali, aumentandoli del 50% e tagliando 30 destinazioni internazionali.
Venne ridotto il numero di velivoli, che passarono da 175 a 109. Niente di più anacronistico.
Le compagnie aeree low cost si sono messe di traverso depotenziando ancora di più Alitalia e facendo crescere la valigia dei debiti della compagnia. Nel 2011 i bilanci vennero chiusi con un buco di 69 milioni di perdite; nel 2012 il rosso balzò a 280 milioni che divennero 500 milioni nel 2013: anche i capitani coraggiosi avevano fallito.
L'entrata in scena di Etihad
Il "paziente" Alitalia aveva bisogno di un nuovo specialista per analizzare il suo male. Fu la volta di Etihad. Di certo alla compagnia aerea degli Emirati Arabi i capitali non mancavano e si arrivò ad un accordo con la nascita della joint venture Alitalia Sai, con il 49% in mano alla compagnia del Medio Oriente.
Etihad per il rilancio spese 565 milioni di euro. Il colosso arabo ridusse subito le tratte brevi con discreti risultati visto che il 2015 si chiuse con un buco "solo" di 200 miliardi, ma l'anno successivo la situazione tornò a precipitare con la decisione di approvare l'amministrazione straordinaria della compagnia con l'opzione di iniettare 2 miliardi di euro di soldi pubblici nelle casse di Alitalia.
Un referendum bocciò l'idea e, dopo aver tagliato fuori (anche) gli Arabi il Mise approvò un prestito ponte di 900 milioni per tirare avanti fino alla prossima (s)vendita.
Quanto Alitalia è costata agli italiani
Negli ultimi 4 anni tra prestiti e finanziamenti straordinari gli italiani hanno pagato di tasca loro 1,4 miliardi di euro ad Alitalia senza, di fatto, avere nulla in cambio.
La neonata ITA, infatti, si presenta ottimista sulle piste di decollo ma i numeri e il piano aziendale non sono dalla sua parte. La flotta è meno della metà di quella di Alitalia e di conseguenza il numero dei voli e la capacità di trasporto aereo sono ridotti ai minimi termini e quindi è difficile immaginare che i ricavi possano superare i costi con un piccolo Davide che entra in mercato dominato da sempre più forti Golia pronti a fagocitare chiunque tenti di sbarrare loro la strada.