Tagli alle pensioni d'oro: perché si rischiano ingiustizie
La società di ricerca Itinerari Previdenziali dell’economista Alberto Brambilla, vicino alla Lega, critica le misure del governo
Alberto Brambilla, fondatore della società di ricerca e consulenza Itinerari Previdenziali, studia le pensioni da decenni ed è considerato un economista vicino alla Lega. Questa sua “collocazione politica” non gli ha impedito tuttavia di criticare, conti alla mano, i tagli alle cosiddette pensioni d’oro messi in cantiere dal governo e dalla maggioranza giallo-verde con un Disegno di Legge (Ddl) ad hoc.
E’ un provvedimento di pochi articoli con cui vengono decurtati gli assegni pensionistici sopra gli 80mila euro lordi all’anno, che corrispondono a 3.900 euro netti al mese. L’obiettivo è colpire le rendite previdenziali il cui importo risulta sproporzionato rispetto ai contributi versati dall’ex-lavoratore nel corso di tutta la carriera.
Calcoli difficili
Tuttavia, come ha fatto notare la società di ricerca fondata da Brambilla, recuperare la storia contributiva degli ex lavoratori è assai difficile, se non impossibile, perché non si può ricostruire con esattezza i loro versamenti. Tale considerazione vale soprattutto per gli impiegati pubblici che, per molti anni, non hanno avuto un loro istituto previdenziale come l’Inps. Le pensioni degli statali erano infatti a carico dei bilanci degli stessi enti per i quali avevano lavorato, che non accantonavano contributi ad hoc per ogni singolo dipendente ma, più semplicemente, inserivano gli assegni previdenziali nel calderone dei loro bilanci.
Per superare questo ostacolo, gli autori del disegno di legge hanno utilizzato una sorta di escamotage contabile. Per determinare i tagli hanno preso a riferimento i coefficienti di trasformazione, cioè dei parametri che servono di solito a calcolare la pensione di un lavoratore sulla base dell’età in cui si mette a riposo e dei contributi che ha accantonato. Il sistema dei tagli è architettato in modo tale da penalizzare soprattutto i pensionati che hanno due caratteristiche: oltre a incassare un assegno Inps sopra i 3.900 euro netti al mese calcolato col metodo retributivo (cioè in proporzione agli ultimi stipendi percepiti prima di andare in pensione), si sono ritirati dal lavoro in età relativamente anticipata.
Qualche esempio concreto
Proprio perché sono basati su un escamotage contabile e su una semplificazione, però, secondo Itinerari Previdenziali i tagli alle pensioni d’oro rischiano di fare molte ingiustizie e colpire chi non se lo merita. Tra i più penalizzati, con decurtazioni agli assegni che superano anche il 10%, ci sono per esempio pensionati che hanno cominciato a lavorare molto presto (prima della maggiore età) e si sono congedati dal lavoro con 40 anni di carriera.
E’ vero che queste persone hanno iniziato a percepire un assegno dall’Inps in età "giovane" (attorno ai 57-58 anni) ma lo hanno fatto soprattutto per una ragione: a quei tempi, una volta superati 40 anni di contribuzione, non c’era per loro alcuna convenienza a rimanere in servizio perché avevano già maturato l’importo massimo possibile per l’assegno pensionistico. La scelta di quei lavoratori, presa lecitamente in base a delle regole allora in vigore, ora si trasforma in un boomerang. Il governo di turno cambia di nuovo le norme e lo fa con effetto retroattivo, toccando i diritti acquisiti. Per questo, secondo Itinerari Previdenziali, c’è pure il rischio che la Corte Costituzionale, fra qualche anno, bocci gli ennesimi tagli del governo alle pensioni d’oro.