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Tasse

Contro le bugie degli italiani sul fisco si tassino e beni e non il lavoro

Il 40% dei contribuenti dichiara meno di 15 mila euro. Un'assurdità da combattere solo in un modo

È evidente che qualcosa non funziona nel nostro sistema fiscale. E non ci riferiamo solo all’evasione, ma alla sempre più palese divaricazione tra chi al Fisco paga tanto e chi versa poco o niente. Come riportato nei giorni scorsi da Panorama.it e da tutti i più importanti organi di informazione, il centro studi Itinerari previdenziali guidato da Alberto Brambilla ha realizzato un report da cui emerge che su una popolazione di 59,6 milioni di abitanti, solo 30 milioni presentano una dichiarazione dei redditi positiva. In particolare, i titolari di redditi lordi superiori a 55 mila euro sono soltanto il 4,6 per cento dei contribuenti italiani eppure versano il 38 per cento di tutta l’Irpef. Se allarghiamo il campo partendo da chi dichiara più di 35 mila euro lordi (1.800 euro netti mensili), scopriamo che il 13 per cento degli italiani si fa carico del 60 per cento del totale dell’Irpef. Una fetta di popolazione che continua ad essere munta quasi senza tregua. Sull’altro versante, 18 milioni di cittadini, il 44,5 per cento dei contribuenti, versano solo l’1,9 per cento dell’Irpef totale. Del resto, il 40 per cento delle dichiarazioni dei redditi presentate al fisco sono sotto la soglia dei 15 mila euro.

Un Paese di poveri, verrebbe da dire. Dove i tassisti in media denunciano appunto 15 mila euro all’anno, 1.250 euro lordi al mese. E dove su 16 milioni di pensionati ce ne siano circa 7 milioni (quasi il 44 per cento) totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato, cioè da quelli che le tasse le pagano davvero.

In questa Italia che sulla carta farebbe fatica a mettere insieme il pasto con la cena, dove il debito pubblico continua a salire e si raschia il barile per tenere in piedi il welfare, il 70,9 per cento degli italiani è proprietario della casa in cui vive; le seconde case sono più di 5,5 milioni; le automobili in circolazione sono aumentate del 32 per cento negli ultimi 20 anni; si sprecano annualmente 136 miliardi per il gioco d’azzardo legale, cifra che sale a 169 miliardi tenendo conto anche del gioco illegale, più di quanto si spende per mangiare (160 miliardi); i telefoni cellulari a fine 2022 erano 78,2 milioni, pari al 132,6 per cento dell’intera popolazione nazionale, in crescita di circa 200 mila pezzi rispetto all’anno scorso. Inoltre, il 97,5 per cento degli italiani possiede almeno uno smartphone; nel 2022 il mercato dei prodotti per l’alimentazione dei cani e gatti in Italia (quindi parliamo solo di cibo) ha sviluppato un giro d’affari di 2,7 miliardi di euro.

Questi indicatori, seppur parziali, restituiscono un’immagine diversa: di un Paese più ricco di quello che appare dai dati relativi ai redditi dichiarati. E anche l’esperienza personale ce lo conferma, quando frequentiamo le spiagge affollate d’estate, entriamo in pizzeria o ammiriamo le moltitudini di seconde case costruite in montagna, in collina e al mare.

La ricchezza c’è e in parte sfugge al fisco: l’evasione annuale infatti ammonta a quasi 100 miliardi, come riferisce l’ultima “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, pubblicata il 30 settembre dal Ministero dell’Economia. Secondo le stime contenute nella relazione, nel 2020 l’evasione delle imposte e quella dei contributi previdenziali ha raggiunto un valore pari a 86,9 miliardi di euro, in calo di quasi 13 miliardi di euro rispetto al 2019. Un dato che però è sicuramente inferiore a quello registrato dopo la pandemia, e comunque di solito sottostimato.

Ma oltre all’evasione, cioè ad un atto illegale, c’è la struttura sempre più assurda delle nostre imposte, che premia i lavoratori autonomi nell’errata convinzione “che così pagano fino in fondo quanto dovuto”, riduce le tasse su chi possiede gli immobili grazie alle cedolari secche e diffonde le tasse piatte a destra e a manca. Con il risultato che ormai l’Irpef la pagano solo i lavoratori dipendenti e i pensionati. La progressività del sistema fiscale sta sparendo, violando l’articolo 53 della Costituzione italiana, che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Come ricorda l’Osservatorio sui conti pubblici della Università Cattolica di Milano, “nata come imposta generale su tutti i redditi, per l’elevata evasione e la continua sottrazione dalla sua base imponibile di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente, l’Irpef si è trasformata in un’imposta che tassa soprattutto quest’ultimo. Anche senza considerare i trattamenti pensionistici, i redditi da lavoro dipendente, poco più del 40 per cento del totale dei redditi, costituiscono circa l’80 per cento della base imponibile del tributo che a sua volta genera da solo circa il 40 per cento del totale delle entrate tributarie complessive. Vista la ristrettezza della sua base imponibile e il fatto che tutti gli altri redditi vengono tassati ad aliquote agevolate, l’elevata progressività del tributo appare difficilmente giustificabile”.

Il risultato, come abbiamo visto , è che su una parte dei contribuenti, quelli con redditi superiori ai 35 mila euro lordi annui, grava un peso sproporzionato di imposte. Cittadini che pagano i servizi pubblici per gli altri. Una media borghesia sempre più penalizzata. Stefano Cuzzilla, presidente del sindacato dei dirigenti Cida, parla di «un ceto medio che ogni anno vediamo impoverirsi sotto i colpi dell’accanimento fiscale, dell’inflazione e della progressiva esclusione dal sistema di welfare pubblico. Lavoratori e pensionati che negli ultimi anni hanno visto una forte compressione verso il basso del potere d’acquisto, che ormai oscillano tra disillusione e rabbia. Penso ai nostri medici, ai dirigenti pubblici, alle alte professionalità della scuola, competenze necessarie al sistema, che hanno le retribuzioni più basse dei loro omologhi europei e che, arrivati a fine carriera, sono trattati come dei bancomat”.

Forse sarebbe ora che tra le “grandi riforme” intraprese dal governo ci sia anche quella delle imposte, chiedendosi se non sia il caso di tassare di più le cose, i beni, in modo da non far sfuggire dalle tasse chi riesce sempre a dichiarare meno del dovuto. E ridurre nel frattempo l’imposizione sul lavoro.

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Guido Fontanelli