Tavares «sfida» l'Italia; ma lo Stato non può vendere auto elettriche e salvare il mondo dei motori
Il ceo di Stellantis chiede «aiuti di Stato» per tenere in vita Mirafiori e Pomigliano; lo Stato pensa all'intervento su cui occorre pensare moltissimo
Non diminuisce la tensione tra il governo italiano e Stellantis. Nella giornata in cui il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato un nuovo pacchetto di incentivi per l’acquisto di auto meno inquinanti, che secondo i sindacati costerà ai contribuenti circa un miliardo di euro, lo stesso ministro ha dichiarato che il governo è disponibile a prendere una quota del gruppo automobilistico se gli venisse richiesto. Come dire: visto che nel capitale del gruppo c’è già lo Stato francese con una quota del 6%, dopo gli Agnelli-Elkann, primi azionisti con il 14%, e la famiglia Peugeot con il 7,1%, perché non far entrare anche lo Stato italiano? Una proposta dal sapore polemico, perché l’Italia accusa Stellantis di essere di fatto controllata dai francesi, di favorire gli interessi transalpini a scapito di quelli italiani, di prendere tanto (come gli inventivi) e dare poco.
Per esempio Urso ha ricordato di aver ricevuto, nell’incontro dei mesi scorsi con Carlos Tavares, l'ad del gruppo automobilistico, e con la proprietà, una richiesta specifica per una spinta a far cambiare la normativa Ue sugli Euro 7, che Stellantis riteneva penalizzante, e che questa cosa fosse stata fatta, avendo "ottenuto una inversione di rotta in Europa". In cambio però la casa non sembra essersi impegnata davvero per aumentare la produzione in Italia. I sindacati sono in allarme, temono la chiusura addirittura della storica fabbrica di Mirafiori nonostante la società di sia impegnata a produrre un milione di veicoli in Italia (nel 2023 siamo arrivati a circa 780 mila tra auto e veicoli commerciali). Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che Stellantis ha talvolta agito contro l'interesse nazionale.
Una polemica che ha investito pure il giornale Repubblica, finito nel mirino dei partiti della maggioranza in quanto controllato dalla famiglia Agnelli.