Tiffany si espande in Europa
Dopo l’apertura del grande negozio parigino Frédéric Cumenal, presidente del marchio americano di gioielleria, punta sul Vecchio continente. Con un’arma segreta di nome Francesca Amfitheatrof.
Narra la leggenda che quando il Tiffany diamond esce dalla sua teca nel negozio di Fifth Avenue a New York per una delle sue rare trasferte, cinque incaricati con altrettante valigette salgano su cinque aerei, destinazione i cinque continenti. Naturalmente solo uno di loro sta trasportando il diamante giallo da 128 carati simbolo della maison di gioielleria americana, mentre gli altri servono a depistare eventuali malintenzionati. Impossibile sapere dai riservatissimi dipendenti del nuovo negozio Tiffany sugli Champs Elysées a Parigi se c’è qualcosa di vero in questa storia o se si tratti solo dell’ennesimo tassello che va ad alimentare la leggenda del marchio nato nel 1837 a New York, amato da regnanti e star del cinema e poi entrato nell’immaginario collettivo grazie al film Colazione da Tiffany, interpretato da Audrey Hepburn.
Ma l’allure di Tiffany resta immutata. Da tre anni a capo del marchio che si riconosce (e si ama) fin dal colore azzurro della confezione, c’è Frédéric Cumenal, un francese di 55 anni che a colpi di marketing sta svecchiando il mito dell’anello di fidanzamento per eccellenza. "In effetti Tiffany ha una relazione privilegiata con la celebrazione di tanti momenti particolari della vita" conferma monsieur Cumenal "e noi vogliamo esserci a ogni appuntamento che conta e possiamo farlo perché siamo una grande casa di design e lo diventeremo sempre di più, perché abbiamo una marcia in più".
E quale sarebbe questa vostra marcia in più?
Sono i nostri grandi designer come Paloma Picasso ed Elsa Peretti, che con le loro creazioni hanno segnato un’epoca. Ora con noi c’è Francesca Amfitheatrof, una donna straordinaria e cosmopolita, americana ma che ha vissuto a Londra, a Mosca e in Giappone: a lei abbiamo dato la possibilità di lavorare sul nostro immenso archivio e il primo risultato è la T collection, in vendita da settembre. E poi abbiamo rivisto e rilanciato la collezione Atlas, un grande successo.
Quindi avete grandi potenzialità di crescita?
Attualmente abbiamo 2.092 boutique nel mondo, ma possiamo ancora espanderci grazie all’ottima relazione instaurata con i nostri clienti. E non è detto che lo faremo solo nella gioielleria.
Cioè state pensando di crescere in settori vicini?
Tiffany è un marchio globale che non si esaurisce nella gioielleria. Penso al mondo degli orologi (dove il gruppo lo scorso anno ha rotto un burrascoso
accordo con Swatch, ndr) o agli accessori per la casa, dove abbiamo grandi potenzialità di crescita. A livello di paesi, invece, ci interessa molto l’Europa.
Suona strano che agli americani interessi il Vecchio continente…
In Europa realizziamo soltanto il 12 per cento del fatturato e, al di fuori della Gran Bretagna, il marchio non è molto conosciuto. Questo flagship store sugli Champs Elysées è un primo passo nella strategia d’affermazione del brand e in futuro ne arriveranno altri. E poi c’è l’Asia, che sta andando molto bene.
Eppure i dati provenienti dalla Cina e dai paesi emergenti parlano di un rallentamento della crescita per i marchi del lusso. Per voi è diverso?
L’Asia vale il 24 per cento delle nostre vendite, una quota molto importante, e continua a crescere (nel primo trimestre 2014 i ricavi dell’area asiatica sono
saliti del 17 per cento e in Giappone del 21 per cento, ndr) quindi per noi questo è un continente «emerso», non certo «emergente». E anche in Russia, dove il rallentamento è più evidente, abbiamo ripreso in mano la distribuzione diretta del marchio e riaperto la boutique di Mosca.
Questa tensione a conquistare nuovi mercati non vi ha cambiato? Non avete dovuto adattare la vostra idea di lusso a questi consumatori emergenti?
Credo che l’artigianalità così come il lusso non abbiano evoluzione, non cambino mai anche se cambiano i mercati di riferimento. La nostra tensione è solo verso la qualità migliore, perché abbiamo l’ossessione della qualità. Piuttosto, credo che esistano due tipi di lusso: quello europeo, unico ed esclusivo, e quello americano,
più democratico e inclusivo.
Come le due anime di Tiffany, lusso accessibile e haute couture. Ma adesso anche un vostro concorrente come Bulgari ha dichiarato di voler entrare nel segmento dei gioielli a basso costo e nei diamanti, le vostre specialità…
Ho grande rispetto per Bulgari e Jean-Christophe (Babin, da un anno alla guida di Bulgari, ndr) è un grande amico dato che abbiamo lavorato insieme a Procter & Gamble, ma credo che i due gruppi siano molto diversi. Detto questo c’è spazio per tutti.
Un’ultima domanda sul ruolo dell’Italia…
Amo moltissimo l’Italia: ho iniziato la mia carriera lavorando al gruppo Ferruzzi con Raul Gardini e per Tiffany è un mercato importante dove vogliamo rafforzarci. Aspettatevi qualche novità…