Tim, Vivendi e la Cassa Depositi e Prestiti: le cose da sapere
Lo Stato, tramite Cdp, acquista il 5% della compagnia telefonica controllata (di fatto) dai francesi. Ecco come si è arrivati a questo intreccio
A scendere in campo ora è il braccio finanziario dello Stato: la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) che gestisce una montagna di risparmi degli italiani tramite i Buoni fruttiferi postali. La società controllata dal Ministero dell’Economia e guidata dal banchiere Claudio Costamagna (ex-Goldman Sachs) ha deciso di acquistare il 5% di Tim, colosso telefonico nazionale oggi controllato (di fatto) dai francesi di Vivendi. Perché questa decisione?
Attorno a Tim, oggi si gioca una partita delicata, in cui si intrecciano diversi interessi: politici, finanziari e industriali. L’intervento della Cdp è senz’altro legato ai contrasti che nei mesi scorsi hanno visto contrapposti Vivendi e il governo italiano per la gestione della rete delle telecomunicazioni nazionali e per il controllo di un’azienda strategica come Tim. Ma ecco, di seguito, una panoramica di come si è arrivati alla situazione attuale.
Assalto francese
Il colosso dei media transalpino Vivendi, che fa capo al noto finanziere Vincent Bolloré, ha acquisito da tempo una partecipazione rilevante nel capitale di Tim, fino a quasi il 24%. Non si tratta della maggioranza assoluta ma è quanto basta per avere la meglio nell’assemblea dei soci e nominare la maggior parte dei membri del consiglio di amministrazione. Dentro Tim, insomma, oggi comandano i francesi.
I contrasti con Calenda
Pur non avendo il potere di fermare i francesi, lo scorso anno il governo italiano, attraverso il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, ha cercato di frenarne l’azione. Per le aziende come Tim che hanno una rilevanza strategica per l’economia nazionale, infatti, in Europa sono in vigore le regole dei Golden Powers, che impongono di tenere informato il governo su alcune decisioni importanti nella gestione.
Se le norme sui Golden Powers vengono violate, un governo nazionale può decidere di infliggere una multa a una società straniera che non le ha rispettate. E’ proprio ciò che è avvenuto con Tim. Il ministro Calenda ha infatti contestato a Vivendi di non averlo tenuto informato quando rastrellava le azioni della compagnia italiana e ha voluto esercitare i Golden Powers con relativa multa. Una decisione contro cui Vicendi si è opposta facendo ricorso al Tar.
Il nodo della rete
Da tempo, il governo preme inoltre per separare il business principale di Tim (cioè la gestione dei servizi di telecomunicazione) dalla proprietà della rete telefonica, che viene considerata un asset importantissimo per l’economia italiana. In particolare, l’esecutivo vorrebbe che la rete delle telecomunicazioni in mano a Tim venisse fusa con Open Fiber, un ‘altra società controllata dal colosso pubblico Enel che sta investendo nella banda larga, cioè nelle infrastrutture internet di nuova generazione. L’unione con Open Fiber incontra però l’opposizione di Vivendi.
Interessi nazionali
Proprio per i contrasti sulla rete, l’ingresso di Cdp in Tim viene visto oggi come un intervento a difesa degli interessi nazionali. Tutte le maggiori forze politiche, dal centrodestra al Pd fino al Movimento 5 Stelle, sono infatti concordi nel voler arginare il ruolo dei soci francesi di Tim , almeno in difesa della rete di telecomunicazioni. Per contrastare gli azionisti transalpini, la Cassa Depositi e prestiti potrebbe avere come alleato il fondo statunitense Elliot che ha rastrellato nelle scorse settimane azioni della compagnia telefonica per circa il 10%.
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