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(Ansa)
Economia

Il Turismo è l'oro d'Italia. Lo dicono i numeri

Nel 2023 abbiamo superato i livelli pre covid con 134 milioni di arrivi dall'estero. Cos'aspettiamo a considerare l'arte, il mare, la montagna, le città, la storia insomma le nostre bellezze come la vera materia prima su cui basare la nostra economia?

Mai così tanti turisti in Italia! 134 milioni di arrivi nel 2023, in un Paese da 60 milioni di abitanti. Vuol dire più del doppio, vuol dire oltre 11 milioni al mese se li spalmiamo su 12 mesi. I dati Istat riferiti all’anno scorso sono chiari: il 2023 è stato l’anno record per il turismo in Italia. Il migliore di sempre, anche guardando al pre-pandemia. E con questi numeri il passo successivo è scontato: bisogna investire sulla locomotiva del Paese, il turismo, che rappresenta il 13% del Pil nazionale. Città d’arte, montagna, mare, enogastronomia, cultura. Sono queste le nostre materie prime, la nostra ricchezza economica.

Nel 2019, prima dello stop dettato dal Covid, l’Italia era il quinto Paese più visitato al mondo con 65 milioni di arrivi stranieri e il terzo per numero di pernottamenti. Un successo. Eppure, oggi i numeri sono ancora meglio. Nel 2023 sono stati 134 milioni gli arrivi e 451 milioni le presenze. In paragone a quel 2019 si tratta di 3 milioni di arrivi in più e 14,5 milioni di presenze in più. La fotografia dell’Istat ci dice che è il Nord-Est in cima alle preferenze, con 177 milioni di presenze, il 39,2% del totale nazionale. Seguono il Centro (24%) e poi il Nord-ovest (17,7%). Guardando alle Regioni a vincere è il Veneto (15,9% delle presenze nazionali). Secondo posto per il Trentino-Alto Adige (12,4%) e poi Toscana, Lombardia e Lazio (oltre il 10%). Al Sud la Regione più visitata è la Campania, con 20 milioni di presenze (il 4,5% delle nazionali). Rispetto al 2019 il salto maggiore nei numeri è stato fatto da Lazio, Lombardia e Sicilia. Restano invece inferiori al pre-pandemia i numeri di Molise (-2%), Emilia-Romagna (-2,9%), Piemonte (-3,2%), Toscana (-4,3%), Campania (-8,7%), Basilicata (-15,1%) e Calabria (-18,3%). Interessante la divisione in due dell’Italia. Al Centro e al Nord a trainare sono gli stranieri. Sono il 52,4% dei clienti, soprattutto nella provincia di Bolzano (addirittura il 70,6%), in Veneto (quasi il 70%), Lazio e Lombardia (oltre il 60%). Al Sud invece e in Emilia-Romagna oltre due turisti su tre sono italiani.

I numeri da record spingono a lavorare sulla qualità dell’offerta, anche, come dicono in molti, per evitare il boomerang dell’overtourism. Negli ultimi mesi sono scattate in diverse località misure per “fermare” l’assalto dei turisti (il ticket di ingresso a Venezia, la tassa di sbarco a Capri, maxi-Ztl a Firenze e le imposte di soggiorno aumentano un po’ ovunque), ma 134 milioni di arrivi in un anno chiedono di essere gestiti e aumentati. Siamo davanti ad un’“industria” che conta 2,7 milioni di occupati (l’11% della forza lavoro), che porta 255 miliardi di euro al Paese (il 13% del Pil). L’Italia è così al settimo posto in Europa per incidenza del comparto sul Pil nazionale, davanti a Francia e Germania. Sono i servizi la locomotiva italiana. Lo dicono i dati da tempo (anche quelli del primo trimestre 2024 con quel Pil a +0,3% soprattutto grazie al boom del turismo). Il settore compensa la contrazione della grande industria e delle piccole e medie imprese. Turismo non è solo l’industria dell’ospitalità, ma anche commercio al dettaglio, trasporti e tanto altro. E si tratta inoltre di attività che richiedono molta forza lavoro, quindi occupazione, quindi lavoro.

Il turismo è cambiato dopo il Covid e un Paese con questi numeri è naturalmente spinto a lavorare su questo. Innanzitutto, destagionalizzare, per essere meta nazionale e internazionale del turismo 365 giorni l’anno. Serve poi ampliare l’offerta, anche per ripopolare il mercato dell’ospitalità dopo la “moria” ricettiva invitabile del periodo pandemico. Investire sul turismo italiano significa anche arricchire e allargare la proposta. Non solo città d’arte e mare e monti più noti, ma tutti i borghi nascosti, il turismo esperienziale, le zone meno turistiche delle grandi città ma che i visitatori cercano, l’enogastronomia. Servirebbe una visione “industriale” del turismo, a lungo raggio. Riconoscere insomma la più grande risorsa italiana e puntare su quella, per crescere.

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Cristina Colli