Terremoto: quanto costa mettere in sicurezza l'Italia
Servono 25-56 miliardi per i soli 648 comuni più a rischio. Ma per interventi in tutto il Paese il conto salirebbe a 850 miliardi
Per rendere l'Italia a prova di terremoto potrebbero servire da 36 miliardi ad addirittura 850 miliardi di euro. Non tanto la prima, ma è la seconda cifra a far sgranare gli occhi: talmente esorbitante - pari a circa la metà del Pil italiano - da indurci a credere che un vero e proprio intervento per mettere in sicurezza tutto il Paese sia irrealizzabile.
Dei costi per rendere le case e gli edifici pubblici più sicuri, se ne è tornato a parlare in questi giorni dopo il terremoto che ha colpito Ischia, un sisma accaduto, per una triste coincidenza, proprio a un anno dalle ben più forti scosse che hanno distrutto Amatrice.
Le ultime stime del Politecnico
La cifra "monstre" a undici zeri (850.700.000.000 euro) è contenuta nella relazione presentata da Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano, e richiesta lo scorso anno dal governo Renzi in occasione del lancio del Piano Casa Italia, il progetto a lungo termine per la messa in sicurezza del territorio nazionale.
La stima del Politecnico prende in considerazione gli interventi per mettere in sicurezza tutti gli edifici realizzati fino al 1981 e considera tutti i comuni a rischio in Italia (costo di 400 euro a mq per una abitazione di 11 metri quadri).
Ma a parte gli 850 miliardi di euro, sono altre le cifre più interessanti e (forse) realistiche in vista della realizzabilità del piano.
Un paese a rischio
Del resto bisogna individuare delle priorità, perché mettere in sicurezza tutta l'Italia è quasi impossibile: il 40 per cento dei comuni può essere colpito dai terremoti, ben 29.000 chilometri quadrati di territorio sono a rischio alluvione e il 70 per cento dell’intero patrimonio abitativo dovrebbe essere ristrutturato per migliorare la sicurezza, come ricordava la mozione sulla difesa del suolo approvata il 22 ottobre 2014.
Gli effetti del sisma-bonus
Ma torniamo alle stime del Politecnico. Dall'applicazione del sisma-bonus ai soli edifici in muratura portante nei 648 comuni più a rischio, il conto scenderebbe a "soli" 25 miliardi, in termini di minori imposte, ma - prosegue la relazione - "con un importante effetto moltiplicatore per il rilancio del settore edile".
Ricordiamo che il sisma-bonus sono le deduzioni fiscali riconosciute a chi effettua un intervento di messa in sicurezza degli edifici delle zone a rischio sismico e che l'ultima Legge di Bilancio 2017 ha prorogato fino al 31 dicembre 2021.
Quanto agli interventi sul territorio, limitati ai 648 comuni e sui soli edifici realizzati in muratura portante, il costo si attesta a 36,8 miliardi, che sale a 46,4 miliardi comprendendo gli edifici in calcestruzzo armato realizzati prima del 1971, anno in cui furono varate le prime norme anti-simiche, e a 56 miliardi estendendo gli interventi anche agli edifici in cemento armato realizzati fino al 1981.
Le stime precedenti
Sono numeri non molto distanti da quelli circolati negli ultimi 10 anni: 24 miliardi di euro, ad esempio, era la cifra di cui parlava Corrado Clini, allora ministro dell’Ambiente del governo Monti, ai tempi del terremoto in Emilia nel 2012.
Stima poi aumentata a 40 miliardi spalmati in 15 anni, pari a una spesa di poco più di 2 miliardi l'anno.
Cosa ha fatto il nostro paese
Ma al di là delle risorse che andrebbero messe a disposizione o trovate in qualche modo, il problema "vero" alla fine è la messa in pratica degli interventi.
Il rapporto Ance-Cresme, quattro anni fa, ricordava che dal 1991 al 2011 l'Italia ha speso solo 10 miliardi di euro per interventi di manutenzione del territorio: sono meno di 500 milioni l’anno in quattro lustri in cui abbiamo assistito al dramma del terremoto nelle Marche e in Umbria nel 1997, a quello in Molise nel 2002 e al terremoto che distrusse L’Aquila nel 2009.