Perché lo scontro Usa-Iran non fa crollare le borse
La storia insegna che le crisi geopolitiche vengono riassorbite rapidamente dai mercati. Confermando il detto: “Quando i missili volano, compra!"
"Ascoltami ragazzo, se senti dei missili volare, compra, non vendere". "Compro, sei sicuro?" "Certo che devi comprare! Tanto se ti sbagli, saremo tutti morti". Così, durante la crisi dei missili di Cuba, un trader dalla grande esperienza consigliava un giovane operatore di borsa. Era il 1962, il mondo era sull'orlo di una guerra nucleare eppure la borsa reagì con una calma sorprendente: il confronto Usa-Urss durò 13 giorni e in quel periodo l'indice Dow Jones di Wall Street perse solo l'1,2% e dopo un anno era in rialzo del 36%.
Non è l'unico esempio di reazione positiva dei mercati azionari ad una crisi geopolitica. L'andamento cauto, almeno finora, degli indici mondiali dopo l'omicidio da parte degli Usa di Qasem Soleimani, uno dei generali più potenti iraniani, e la relativa escalation della tensione con l'Iran, dimostrano come gli operatori non considerino il rischio di una guerra come una minaccia per gli investimenti. Del resto è la storia a confermare che le grandi crisi si trasformano spesso in occasioni di guadagno per chi compra azioni.
Ben Carlson, manager della Ritholtz Wealth Management di New York, è andato a vedere come ha reagito Wall Street durante alcuni tra i momenti più tragici della storia contemporanea. E ha pubblicato il risultato della sua indagine sul giornbale americano Fortune:
dall'inizio della Prima guerra mondiale nel 1914 fino alla fine del conflitto nel 1918, il Dow Jones è aumentato di oltre il 43% in totale, pari a circa l'8,7% annuo.
Dopo l'attacco alla base navale statunitense di Pearl Harbor nel dicembre 1941, la borsa aprì il lunedì successivo con un calo del 2,9%, ma ci volle solo un mese per recuperare quelle perdite. Quando le forze alleate invasero la Francia il 6 giugno 1944, il mercato azionario se ne accorse appena. Complessivamente, dall'inizio della Seconda guerra mondiale nel 1939 fino alla fine del 1945, l'indice Dow Jones è salito complessivamente del 50%, più del 7% all'anno.
La guerra di Corea è iniziata nell'estate del 1950, quando la Corea del Nord invase il Sud: immediatamente il mercato reagì con una perdita del 5,4%. Il conflitto si concluse nell'estate del 1953 e in quel periodo, il Dow è salito del 60%.
Le truppe statunitensi furono inviate in Vietnam nel marzo del 1965. Il Dow avrebbe finito il resto di quell'anno con un aumento di quasi il 10%. Quando l'ultima delle truppe statunitensi fu ritirata dal Vietnam nel 1973, il mercato azionario era salito di quasi il 43% negli 8 anni di scontro, o poco meno del 5% all'anno.
L'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 ha fatto crollare le quotazioni in borsa di quasi il 15% in meno di due settimane. L'economia era già nel bel mezzo di una recessione e le azioni erano in caduta libera dallo scoppio della bolla dei dot-com. Ma nel giro di un paio di mesi, il mercato azionario aveva recuperato tutte le perdite che si erano verificate dopo la distruzione delle due torri.
Gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq nel marzo 2003. Le azioni sono salite del 2,3% il giorno successivo e hanno finito l'anno con un guadagno di oltre il 30%.
Se non bastasse, la società di brokeraggio Lpl Financial di Boston ha esaminato la performance dell'indice S&P 500 della Borsa di New York dopo le crisi geopolitiche risalenti alla seconda guerra mondiale e ha riscontrato che i cali di mercato spesso sono stati completamente riassorbiti in molto meno di un anno. Naturalmente questo non significa che ogni conflitto abbia un impatto positivo sulle borse: quello che conta è quale può essere la conseguenza diretta di tale crisi per l'economia mondiale e americana in particolare. Una guerra lontana come quella (speriamo improbabaile) con l'Iran con il relativo aumento delle spese per la difesa e un moderato rincaro del petrolio può far paura ai governi di mezzo mondo. E può anche rappresentare una buona scusa per una serie di vendite in un mercato azionario reduce da un lungo rialzo. Ma difficilmente sarà visto nelle sale operative come una seria minaccia: quando i missili volano, si compra.