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(Ansa)
Economia

Il vino, un mercato d'oro da 45 miliardi

I numeri di un settore in crescita ma che può essere sfruttato al meglio

In vino veritas, dicevano gli antichi. E la verità è che il settore vitivinicolo vale moltissimo nell’economia italiana. Ma anche che il momento è delicato, tra le crisi internazionali che possono incidere su costi ed export e l’affermarsi di nuovi trend, come quello del “vino senza alcol” che pone nuove sfide.

Oggi a Verona apre il Vinitaly, la storica fiera del settore, arrivata alla sua 56esima edizione. E si presenta con dati che non lasciano dubbi sull’importanza della produzione e il valore che riveste. Vediamo qualche numero.

Sono numeri importanti: la produzione vale 45,2 miliardi di euro, l’1,1% del prodotto interno lordo. Per avere un metro di paragone, lo sport – calcio compreso – vale l’1,3% del Pil.

Sedici miliardi di euro è il fatturato (il 9% del Food&Beverage italiano), 8 miliardi di euro le esportazioni (il 16% del nostro F&B). I vini italiani vengono esportati soprattutto in Europa (41%), seguita dagli Stati Uniti (28%). E un interessante (e potenzialmente molto promettente) 6% in Cina, Giappone e Sud Est asiatico.

Il vino italiano genera un valore aggiunto pari a 14,8 miliardi di euro attivando diverse filiere con un effetto moltiplicatore di 4,1 per il Paese: per ogni euro di valore realizzato dalle imprese vitivinicole si ricavano 4 euro a vantaggio dell’economia nazionale.

Nella filiera sono impiegati 74mila lavoratori in modo diretto, mentre la stima è di oltre 300mila se si considera anche l’indotto.

Buona parte della produzione di vino italiano si concentra al Nord (oltre 24 milioni di ettolitri), seguito dal Mezzogiorno (20 milioni circa) e dal Centro Italia (oltre 5,5 milioni). La regione in cui si produce il maggior quantitativo di vino è il Veneto, seguito dalla Puglia e dall’Emilia Romagna. Al quarto posto la Sicilia e poi l’Abruzzo. Il vino rosso guida produzione e consumi, ma i bianchi – trainati dalle “bollicine” – rappresentano una fetta importante del mercato (circa il 40%) .

Al Vinitaly tutto questo si vede molto bene, con quattromila produttori, centinaia di importatori, 140 Paesi espositori e un’attenzione politica di prim’ordine, con la presenza di ministri – a partire dal titolare dell’Agricoltura Lollobrigida - del veronese presidente della Camera Lorenzo Fontana e della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Se da una parte c’è questa consapevolezza, dall’altra però anche il vino risente del momento di grande tensione internazionale. E non potrebbe essere altrimenti per un settore che – come abbiamo visto – ha nell’export e nella proiezione internazionale una caratteristica irrinunciabile. La guerra in Ucraina è arrivata nel cuore della kermesse rappresentata da una bottiglia. E’ un Tignanello (rosso toscano tra i più pregiati) del 2018 che si è salvata da un bombardamento russo. E’ stata recuperata nelle macerie di un’enoteca di Kiev e ora è esposta al Vinitaly, portata dal ministro dell’Agricoltura ucraino Mykola Solsky. La guerra in Ucraina e, più recentemente, la crisi in Medio Oriente, incidono su tutta l’economia Europea e il vitivinicolo non ne è immune: per la sua forte vocazione all’export, per l’aumento dei costi di produzione causato dal caro-energia e, più in generale, per quella situazione di incertezza che fa male all’economia. I dati del 2023 lo dimostrano, facendo segnare un calo delle esportazioni. Ma l’Italia si è difesa meglio di altri paesi, nostri competitor nel mercato della bottiglia. Le esportazioni dell’Italia (-0.8% in valore e in volume) hanno tenuto molto meglio di Francia (-2,8% a valori e -9% a volumi), Spagna (-3,2% a valori e 4,1% a volumi) e Cile (-22,4% a valori e -18% a volumi).

“Il vino senza alcool non è vino”, ha dichiarato perentorio il ministro Lollobrigida. Eppure il tema della bevanda alcool free esiste ed è tenuto in grande considerazione tra gli addetti ai lavori. Del resto le statistiche dell’Istat confermano che il consumo di bevande alcoliche resiste ma è in costante diminuzione negli anni. E sia una consapevolezza salutista, sia una moda o un cambiamento progressivo nel trend di consumo – non si può far finta di niente.

“Stiamo assistendo a nuovi comportamenti del consumatore e a tendenze che sembrano guardare con maggiore curiosità a nuove categorie di prodotti, quali ad esempio i vini dealcolati e parzialmente dealcolati, soprattutto nei principali mercati di sbocco del vino quali Regno Unito, Usa e Germania” , spiega la presidente di Federvini , Micaela Pallini. “Anche se è presto per dire se siamo di fronte a veri e propri nuovi trend, non possiamo ignorare questi segnali che giungono dal mercato”.

E i produttori chiedono perciò adeguamenti normativi che permettano alle aziende italiane di farsi avanti anche in questa (per ora) nicchia, superando carenze in trema di pratiche enologiche, etichettature, denominazioni commerciali. Per evitare di avvantaggiare concorrenti esteri (Francia, Spagna, Germania, sono già più avanti da questo punto di vista) e perdere fette di mercato.

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Cristina Colli