Enzo Jannacci: le 5 cose che abbiamo imparato da lui
Il geniale cantautore milanese è morto cinque anni fa, lasciandoci grandi canzoni e qualche lezione di vita
Sono già passati cinque anni dalla morte di Enzo Jannacci, scomparso a 77 anni il 29 marzo del 2013, pioniere del rock and roll italiano, insieme a Celentano, Tenco, Little Tony e Gaber, con il quale formò un sodalizio durato più di quarant'anni.
Geniale, libero, surreale e fuori dagli schemi, Jannacci, in cinquant'anni di carriera, ha divertito ed emozionato l'Italia con le sue canzoni e con i suoi spettacoli.
Impossibile dimenticare canzoni come Vengo anch'io, no tu no, Ci vuole orecchio, Quelli che, El portava i scarp del tennis, Vincenzina e la fabbrica, Andava a Rogaredo, Ho visto un re e E la vita, la vita, scritta con Cochi e Renato.
Oltre a grandi brani, Jannacci ci ha lasciato indirettamente anche alcune lezioni di vita.
Ecco quali sono, secondo noi, le cinque più importanti.
1) Rendere protagonisti gli emarginati
Il detto evangelico “gli ultimi saranno i primi” è uno dei topoi della poetica di Jannacci, che agli emarginati, ai diversi e ai "precari della vita" ha dedicato alcuni dei suoi personaggi più riusciti, come la Vincenzina, che negli anni Sessanta era “davanti la fabbrica” ad aspettare suo marito, o come il “barbun” che portava "i scarp da tennis" e moriva sotto una montagna di cartoni. Personaggi che il cantautore-medico, attingendo alle sue esperienze personali, ha raccontato nella loro umanità e nella loro fragilità con rispetto e con partecipazione emotiva, senza ricorrere né al pietismo, né al facile stereotipo sociologico. "I diversi sono quelli per cui noi siamo diversi", ha dichiarato Jannacci in un’intervista del 1987 con grande efficacia.
2) Ridere della vita
Jannacci è stato un maestro nel trovare, a mo’ di rabdomante, l’ironia e lo sberleffo intelligente nella quotidianità, nelle piccole cose a cui troppo spesso, presi da una fretta senza costrutto, non prestiamo sufficiente attenzione. Anche in un periodo storico e politico come la fine degli anni Settanta, in cui tutti si prendevano troppo sul serio, lui è riuscito a comunicare idee forti sempre con signorilità e con il sorriso sulle labbra, confermando come l’ironia sia il parente più stretto dell’intelligenza. “E la vita, la vita, e la vita l'è bela, l'è bela, basta avere l'ombrela, l'ombrela ti ripara la testa, sembra un giorno di festa”, oltre che il ritornello di uno dei suoi brani più riusciti insieme a Cochi e Renato, è stato anche un po’ il manifesto programmatico della sua filosofia di vita.
3) Valorizzare il dialetto
Canzoni straordinarie come El purtava i scarp del tenis, Ti te sé no, Andava a Rogoredo, El me indiriss e Per un basin confermano come Jannacci sia stato uno dei più grandi autori in dialetto milanese del Novecento. Un dialetto, quello lombardo, spesso utilizzato in modo improprio, volgare ( si pensi allo stereotipo del “milanese imbruttito”) e macchiettistico, che, grazie ai brani di Jannacci, ha mostrato tutta la sue ricchezza linguistica e fonetica, riuscendo così ad essere apprezzato, un po’ come il romano di Belli, in tutta Italia.
4) Per fare grandi canzoni servono grandi musicisti
L’affermazione precedente può sembrare tautologica, ma, in un’epoca come la nostra in cui basta un Mac e il programma GarageBand per incidere un brano di successo, non lo è. Jannacci, diplomato al Conservatorio di Milano, ha suonato con leggende del jazz come Stan Getz e Gerry Mulligan e si è sempre circondato da fior di musicisti e arrangiatori, senza i quali le sue canzoni non sarebbero mai state così coinvolgenti e indimenticabili. In questo senso Elio e Le Storie Tese, band in cui tutti i componenti sono diplomati al conservatorio, è il gruppo in attività (anche se ancora per poco) che meglio ha raccolto l’eredità artistica di Jannacci.
5) Amare la propria città
Nel suo caso, il detto “nemo propheta in patria” ha fatto una clamorosa eccezione. Jannacci ha amato Milano e Milano ha amato Jannacci, in una vera e propria “corrispondenza d’amorosi sensi”. Con la sua ironia e con le sue canzoni, l’artista ha raccontato la Milano più vera, popolare e romantica, popolata di personaggi bizzarri e poetici, lontanissima dalla città degli workalcoholic e dalla Milano da bere degli anni Ottanta. L'amore per la sua città traspariva da ogni suo testo, e per questo oggi la sua Milano, in occasione dei 5 anni dalla sua scomparsa, lo ricorderà e lo celebrerà come uno dei suoi figli più illustri, a cui ha dato con orgoglio i natali.