Facebook cerca di capire le nostre idee politiche. Una trappola?
Con la scusa di fornire pubblicità più rilevante, sta cercando di conoscere ancora meglio i suoi utenti
Molti tendono a essere molto cauti, quando si tratta di condividere le proprie inclinazioni politiche. A prescindere dalla passione che brucia in petto o dall’entusiasmo con cui si recano alle urne, si guardano bene dall’iscriversi a un partito o a un movimento, a tavola preferiscono schivare le domande a sfondo politico e, soprattutto, evitano di lasciare Mi Piace su qualsiasi pagina possa anche solo lontanamente fornire indizi sul loro orientamento.
La brutta notizia, per loro, è che Facebook è comunque in grado di sapere come la pensano. O se non altro ne è convinto, e si comporta di conseguenza.
A inizio mese, l’azienda di Mark Zuckerberg ha reso disponibile uno strumento chiamato Preferences, che consente all’utente di controllare quale tipo di inserzioni pubblicitarie il social network pubblicherà sul suo feed. Questo significa che da quasi un mese chiunque può accedere a una lista dettagliata e personalizzata in cui Facebook annovera tutti le cose che secondo lui potrebbero interessare all’utente.
Farsi un’idea di come Facebook ci vede è facile, basta accedere a questa pagina e cominciare ad esplorare le varie sezioni. Accedendo a Stile di vita e cultura si dovrebbe avere un quadro abbastanza chiaro di che tipo di elettore Facebook ti consideri, e invece è il caos più completo. Stando alla “mia” lista, il social network è convinto che i miei interessi politici riguardino, in ordine sparso: PD, Forza Italia, Lega Nord, Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle, Podemos, Partido Socialista Obrero Español e Partido Popular, Comunismo e Fascismo, Irrelegiosità (sic.), Islamismo, Taoismo, Cristianesimo, etc. Mancano giusto i radicali e scientology: poi finisco l’album.
Verrebbe da pensare che Facebook non abbia la minima idea di quali siano i nostri veri interessi. Ma è sufficiente controllare un account americano per capire che, quando si tratta di politica americana, improvvisamente dimostra una mira infallibile (a novembre si elegge il nuovo Presidente. Che coincidenza).
Gli utenti USA, infatti, hanno una sezione intitolata U.S. Politics, in cui è possibile sapere se a Menlo Park sono considerati democratici, repubblicani, liberal, conservatori, o altro. Anche nel caso in cui un utente non abbia messo alcun Like politico, Facebook ne estrapola l’orientamento passando al setaccio le pagine che visita e i Like che ha messo altrove. Per dire: se ha messo Mi Piace a una pagina seguita in maggioranza da repubblicani, questo sarà un piccolo peso sul piatto di destra della bilancia.
Probabilmente è per questo che Facebook è convinto che tra i miei interessi figurino il Design Industriale, Kristen Stewart e l’Udinese calcio; ed è per questo verrebbe la tentazione, tempo permettendo, di dargli qualche imbeccata. Per esempio: nella mia sezione Commercio e Industria, appare la voce “Linoleum”. So perché: è il titolo di una canzone dei NOFX che avrò ascoltato (e forse condiviso) centinaia di volte. Basta cliccare la x in alto a destra per rimuoverla e convincere Zuckerberg e soci che il mio interesse per i pavimenti resilienti sia in realtà nullo.
Perciò sì, è possibile istruire Facebook in modo che la smetta di propinarci pubblicità (e magari contenuti) di cui non potrebbe importarci meno. La vera domanda però rimane: è la cosa giusta da fare? Nel 2011, l’attivista internet Eli Parisier ha coniato il termine filter bubble (o “bolla filtro”) per definire la tendenza di alcuni algoritmi a utilizzare le informazioni sensibili degli utenti per creare attorno a loro una bolla che lasci entrare solo le informazioni e i contenuti di loro gradimento, o comunque appartenenti alla loro sfera di interessi.
Il rischio di “educare” Facebook a servirci solo i piatti che già ci piacciono, è di tagliare fuori una fetta di mondo che, per quanto poco gradevole, abbiamo bisogno di tenere in considerazione.
Non è tutto. Andando a rimuovere e ad aggiungere elementi alla propria lista interessi, non facciamo altro che fornire a Facebook ulteriori informazioni personali, aiutandolo di fatto a vendere meglio la propria pubblicità e, in sostanza, a monetizzare meglio i nostri dati. A voler essere maliziosi, verrebbe da pensare che a Menlo Park abbiano trovato un nuovo modo per rastrellare i nostri dati: fornirci una lista di interessi volutamente strampalata, per indurci pavlovianamente a correggerla, così da rendere ancora più dettagliato il nostro profilo.
La scelta dunque è tra continuare a ricevere pubblicità che non ci interessa o rimboccarsi le maniche per consegnare a Facebook altri pezzi della nostra privacy. Comunque vada, il banco vince.