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Tecnologia

Fake news, ecco come contrastarle

Mauro Perrella, responsabile della reputazione on line di aziende e esponenti politici, spiega le contromisure per vincere contro bufale e bullshit

Fake news? L'ultimo caso di grande evidenza è stata la diffusione virale di una foto in cui il ministro Maria Elena Boschi compare, attraverso un fotomontaggio, alle esequie di Totò Riina, insieme ad altri esponenti politici.

Il New York Times ha lanciato un vero e proprio allarme sulle fake news che, soprattutto in Italia, stanno conoscendo una diffusione sui social preoccupante, coinvolgendo in particolare modo esponenti politici.

D’altra parte le elezioni sono alle porte e la diffamazione a mezzo di bufale on line in campagna elettorale viene ormai data per inevitabile.

PERCHÉ TANTE FAKE

Ma cosa, o meglio chi c’è dietro questo uso massivo delle fake news? Qual è il legame con la politica e quali sono i rischi? Lo abbiamo chiesto a Mauro Perrella, web manager internazionale che, formatosi nella Silicon Valley, è tornato da qualche anno in Italia dove gestisce la reputazione on line di diverse Aziende, Vip ed esponenti politici.

Mauro Perrella, perché questa esplosione di Fake news? Ma soprattutto perché c’è la tendenza a voler credere a queste “notizie” in maniera acritica?

Sicuramente la mancanza di tutela e controllo su una parte della Rete fa in modo che tali notizie “inventate” o create ad arte, possano proliferare. Ma è anche altrettanto vero che spesso tali notizie trovano terreno fertile proprio online, ossia là dove la gente si sente più tutelata dalla libertà di espressione! Il web, da media più libero e democratico, sta per diventare quello più filtrato e modificato grazie proprio all’uso improprio delle Fake News.

Qual è il ruolo della politica rispetto a questo fenomeno? La politica è vittima di questo sistema, ma involontariamente ne è anche l’”artefice” principale, seppur in modo indiretto. Perché generalmente le notizie finte saltano fuori proprio per destabilizzare l’opinione pubblica oppure per rafforzarla, quindi il terreno politico è quello più rigoglioso sul quale diffondere notizie “fasulle” che favoriscono lo spostamento di “voti e consensi”.

Secondo lei siamo di fronte a un allarme sociale? Decisamente si. Perché sempre più “finti professionisti” online diventano consulenti anche di grandi aziende, di Personaggi importanti e di politici con grande potere decisionale. E un finto professionista non ha un’etica, per cui è disposto a mettere in atto anche tale pratica scorretta, quella delle fake news appunto, pur di sottrarre qualcosa alla concorrenza.

Si tratta di fenomeni isolati o c’è dietro una regia? Sul web niente è mai isolato, il web è una community, la più grande community esistente, in continua evoluzione, per cui quando esce una notizia “scorretta o finta” è sicuramente perché è stata meditata e calcolata alla perfezione.

Chi ci “guadagna”? Ci guadagnano gli speculatori della Rete, ci guadagnano gli “sciacalli” del web, ci guadagnano coloro i quali si nutrono non di soluzioni positive, non di promozioni dell’immagine, non di qualità, ma di destabilizzazione.

Quali sono i rischi – in termini di reputazione - per chi subisce una notizia bufala sulla propria pelle? Sono altissimi, perché il caso del Ministro Boschi era palesemente un fotomontaggio e lo hanno subito capito tutti, ma se si fosse creata una notizia negativa su un farmaco, sulla salute, sul cibo? Se si fosse creata e viralizzata una fake news su un imprenditore che da decenni lotta per le sue aziende in modo serio e onesto? La Web Reputation oggi è il bene più importante di ognuno di noi e va tutelato a dovere ogni giorno.

Mauro Perrella, web manager internazionale formatosi nella Silicon Valley, è tornato da qualche anno in Italia dove gestisce la reputazione on line di diverse Aziende, Vip ed esponenti politici. (Foto: ufficio stampa)

Come si interviene sulla reputazione on line di una vittima delle fake news? Innanzitutto con grande freddezza e con un team di esperti in Reputation online capace subito di analizzare la situazione e di gestire la “crisi” in modo tempestivo, a seconda dei casi ovviamente.

Ci sono stati casi di persone processate? Per la privacy non posso fare nomi, ma assolutamente si. Abbiamo ricostruito la reputazione online di numerose persone che per causa di fake news si sono ritrovate sotto processo, ma poi sono state assolte in formula piena.

Qual è il confine tra tutela della reputazione online di una persona e diritto all’espressione: il reato di diffamazione esiste, però perché è così difficile da perseguire legalmente? Il confine è molto sottile, anche perché oggi sul web in teoria tutti possono dire tutto, anche se ogni messaggio andrebbe sempre filtrato in maniera corretta, prima di essere divulgato, specialmente se proviene da Persone importanti, da Istituzioni, da organi di stampa. Però la diffamazione è sempre dietro l’angolo e oggi esistono milioni di accuse per diffamazione nel nostro Paese, moltiplicate dall’uso improprio dei social, di whatsapp e di Internet.

Perché secondo lei questo fenomeno è esploso soprattutto in Italia? Perché il nostro Paese è in assoluto quello più indietro sul web dei paesi industrializzati, dove soltanto da qualche anno si parla di Reputation online, di tutela della reputazione, di fake news e altre criticità della Rete. Perché si è scoperto solo da qualche anno che il media web crea partiti, crea potere, informa e forma più di ogni altro mass media.

È possibile prevenirlo? A livello singolo assolutamente sì e con le nostre strutture già forniamo servizi di Crisis management online e Web reputation da tanti anni, a livello pandemico diventa più difficile se la fake news dovesse essere presa non in tempo!

Secondo lei quali strumenti legali è possibile attivare? Molto pochi, perché la Rete non è la vita reale, anche se ne è lo specchio. Il web ha le sue regole, ha un paio di leader mondiali e monopolisti ( Google e Facebook/Instagram ) che dettano loro le leggi, perché il web è una community in continuo divenire, con addirittura la sua moneta ( bitcoin ) e la sua organizzazione. Si potrebbe provare a creare una giurisprudenza del web, ma la vedo durissima.

I maggiori players online, soprattutto Google, hanno un modello di business basato sulla pubblicità e sui ricavi che ne conseguono: la viralità è dunque uno strumento che consente di guadagnare. È facile, quindi, che si arrivi alla diffusione di bufale. È possibile risolvere il problema cambiando il modello di business? Bisognerebbe chiedere al “padrone” del web Google se vuole cambiare tale modello, perché attualmente non sembra che abbiano questa attitudine, anche se l’Area Legal di Google ha reso molto più sicura la navigazione e l’esperienza sui prodotti di Mountain View.

Zuckerberg ha annunciato che implementerà la sua squadra per un maggior controllo di contenuti e per investire in tecnologie che aiutino a svelare post e bot malevoli. Secondo lei è la strada giusta? Si, ma occorrerà un lavoro capillare e uno staff enorme per poter gestire questi dati. Certamente gli algoritmi alla base della Rete sicuramente potranno aiutare molto.

Dalle Fake news al diritto all’oblio, il passaggio è brevissimo. Nel nostro ordinamento non c’è una disciplina specifica rispetto a questa fattispecie. Come si può intervenire legalmente? E secondo lei perché si fa fatica a circoscrivere il fenomeno? Perché le leggi in merito sono poco chiare, perché come accennato sopra la Rete ha le sue regole e i vari Stati si adattano con grande ritardo ai cambiamenti continui di tale media. Onestamente il diritto all’oblio e tante altre leggi simili lasciano davvero il tempo che trovano rispetto ai problemi sulla reputation a cui oggi si va incontro.

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Cataldo Calabretta