Figlia mia di Laura Bispuri: Golino e Rohrwacher madri diverse - Recensione
Un film emozionante sulla maternità e non solo: la storia di tre donne, in una danza delicata di avvicinamenti, ricerche e fughe
"Io sono così, cosa ti aspettavi? Io sono come la terra quando piove, che ti avvicini e poi sprofondi".
Nella natura ruvida e selvaggia di una Sardegna che sa di ferite e amore, di terra brulla, verdi profondi e resti di civiltà, Laura Bispuri trova l'abbraccio per una storia aspra, penetrante e commovente. Come la Sardegna. Figlia mia (dal 22 febbraio al cinema con 01 Distribution) è l'opera seconda della regista romana e il film della maturità. Una conferma e un bel passo avanti rispetto a Vergine giurata (2015), che già aveva convinto molti e l'aveva fatta conoscere come autrice rivelazione.
Non a caso al Festival di Berlino, dove è l'unico film italiano in concorso, Figlia mia è stato accolto con entusiasmo dalla stampa internazionale. Storia femminile, di donne, a tre, è una danza di avvicinamenti, fughe, ricerche.
La trama
Valeria Golino è Tina, una mamma attenta e premurosa che da quando è madre è madre e basta. L'esordiente Sara Casu, capelli rossi e occhi che guardano lontano, è Vittoria, dieci anni, il cuore che si interroga e sa annusare la verità. Alba Rohrwacher, che già ha lavorato con Bispuri in Vergine giurata, è Angelica, una donna impulsiva e perduta, una poco di buono che poi di buono così poco non ha. Una donna che sa e vuole sporcarsi. Com'era Vittoria appena nata, piccola e sporca. Tina, invece, lo sporco vuole mondarlo via, e invita con insistenza Vittoria a pulirsi bene tra le dita dei piedi.
Tra quelle due adulte scomposte, entrambe madri imperfette, Vittoria si muove e cerca la sua strada. Tra bizze, rifiuti, ostilità, per ritrovarsi alla fine lei un po' madre di entrambe.
La metafora dell'anguilla è la strada verso l'appartenenza. Vittoria appartiene a entrambe. Come racconta Angelica a Vittoria, le anguille partoriscono vicino all'oceano e poi i piccoli tornano da dove la madre è partita.
"Tutto gira e tutto torna com'era", è una battuta del film.
Il rapporto speciale tra Golino e Rohrwacher
Tra le due madri che a sorpresa si contendono l'amore della figlia condivisa, non ci sono isterie urlate e violenze lancinanti. Bispuri, che ha realizzato la sceneggiatura insieme a Francesca Manieri, costruisce con sensibilità e originalità un rapporto speciale, che sa d'amore. Amore e odio e amore. Nessun litigio esasperato ed esasperante di certo cinema italiano, nessun giustizialismo, solo delicatezza solidale femminile, il tentativo supremo di capirsi, l'impulso generoso e meraviglioso di maternità.
Golino e Rohrwacher trovano una grande sintonia di diversità fisiche e umorali che si abbracciano e si respingono. I loro personaggi sono capaci di grandi dolcezze, ma anche di qualche meschinità. Le loro fragilità si trovano, spesso. E a volte si feriscono. Ma è il loro legame forte, quasi ancestrale, a pulsare sempre sicuro sopra a ogni incertezza. Con i loro corpi vicini, la confidenza dei gesti, la famigliarità del trovarsi e rifuggirsi.
È di grande intensità emotiva e tensione la scena di Golino che fugge via da Rohrwacher, nella notte, dalla capanna sul mare, con un volto che al dolore disperato fonde compassione.