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Lifestyle

Filippa Lagerback: "La mia vita Green"

Gira in bicicletta, indossa capi di moda sostenibile e bacchetta l'Italia: "sull'ambiente, rispetto alla Svezia, siete indietro"

Ambientalista convinta, consumatrice attenta, paladina della mobilità sostenibile. A Filippa Lagerbäck l’etichetta di «icona green» non piace, eppure tra i volti della tv italiana è quello che meglio incarna lo spirito ecologista. Ci mette la faccia ma non per moda. Perché il concetto di salvaguardia dell’ambiente in Svezia, dov’è nata e cresciuta, viene instillato sin da piccoli, come dimostra il fenomeno Greta Thunberg. «Basti pensare che già a metà degli anni Ottanta il riciclo della plastica era una pratica collaudata» racconta a Panorama la conduttrice, volto di Che tempo che fa da poco scelta da H&M come testimonial della linea Conscious.

Filippa, lei insieme all’attrice Rosario Dawson, la top model Anja Rubik e altre dieci famose è la testimonial della Conscious Collection di H&M. Soddisfatta di esserci?

Per me l’orgoglio è doppio. Essendo svedese, sono cresciuta a pane e H&M e poi non pensavo che a 45 anni avrei fatto una campagna così importante, finita pure a Times square. Cercavano un volto per il mercato italiano e hanno scelto me.

H&M l’ha voluta per la sua linea sostenibile realizzata con materiali riciclati o sostenibili, come cotone biologico al 100 per cento. La moda etica è il futuro?

H&M e altri marchi globali si rendono conto della responsabilità che hanno e dell’impatto ambientale che generano. Così stanno cambiano la produzione utilizzando materiali ecosostenibili o riciclati, dalla buccia dell’ananas al poliestere, con un basso impatto ambientale. Linee come Conscious sono il presente e il futuro.

Lei che tipo di consumatrice è in fatto di moda?

Compro capi che so di poter utilizzare tante volte. E poi molti degli abiti che indosso hanno una seconda vita: faccio sharing con le amiche e a Varese, dove abito, organizzo mercatini solidali per sostenere attraverso una onlus vari progetti sociali.

Poche settimane fa Prada ha annunciato la svolta «fur-free»: è l’ennesimo brand che dice basta alle pellicce. Nel suo armadio ce ne sono?

No, anche il mio armadio è fur-free. Qualche anno fa venni insultata su Instagram per una foto in cui sfoggiavo una pelliccia: peccato fosse ecologica.

La definiscono un’icona green: la piace come definizione? 

(Ride). Non mi ci ritrovo. Per me è innato avere rispetto per l’ambiente.  In Svezia siamo abituati a essere immersi nella natura sempre, nonostante pioggia, vento o neve. Boschi e laghi sono pieni di gente, la legge «allemansrätt» (diritto di pubblico accesso) consente a tutti il diritto di camminare, passeggiare, fare campeggio su qualsiasi terreno. L’unico obbligo è trattare tutto con il massimo rispetto, come se la natura fosse una casa privata.

Tra le sue battaglie c’è quella al fianco di Genitori antismog, l’associazione che si batte contro il traffico e l’inquinamento. 

Quindici anni fa ero una delle poche che utilizzava la bici a Milano. L’aria era terribile, era impossibile muoversi: sul web trovai questo progetto e mi iscrissi. Oggi le cose sono molto cambiate, ma c’è ancora tanto da fare sul fronte dell’inquinamento.

La sua prossima campagna?

Sono il volto di #VaresePlasticFree, che anticipa la direttiva europea per eliminare stoviglie di plastica, cannucce, bottigliette e bicchieri: l’obiettivo è quello di non utilizzare più la plastica usa e getta.

Come la vede, da svedese, l’Italia impegnata sul fronte eco?

«Molto indietro. A metà degli anni Ottanta nei negozi in Svezia ti davano un contributo se riciclavi plastica e vetro. Tra noi ragazzi c’era la sfida a chi riciclava di più per incassare qualche soldino.

Lei è un’integralista della differenziata?

Mi fa impazzire vedere il barattolino dello yogurt nell’indifferenziato anziché nella plastica.

Il suo decalogo green cosa comprende?

Una spesa consapevole. Evito i prodotti con troppo imballaggio, scelgo la frutta e la verdura di stagione ed evito quella che arriva dall’altra parte del mondo. Abbiamo un grande potere come consumatori e lo sfruttiamo poco.

Ibrida o auto elettrica?

Entrambe. Mio marito (il conduttore Daniele Bossari, ndr), che è un patito di motori e macchine di grandi cilindrate, si è convertito all’auto elettrica. Io per i lunghi spostamenti ho un’ibrida perché non ci sono ancora le infrastrutture adatte e molte colonnine per la ricarica non sono omologate.

Altri diktat ecologisti?

Niente spreco di acqua ed energia, giusto utilizzo del riscaldamento. Ma non sono perfetta. Qualche mese fa abbiamo fatto un viaggio alle Maldive: era il nostro sogno, ma so che non è ecosostenibile spostarsi dall’altra parte del mondo. Peraltro, durante la bassa marea, abbiamo raccolto di tutto con mia figlia Stella, dalle capsule del caffè alle bottiglie di plastica che la gente butta dalle barche o dagli atolli.

È sempre un’appassionata di bici?

Sempre, anche in città. Quando nel 2013 scrissi il libro Io pedalo, e tu? Mi prendevano per matta. Adesso la tribù di chi sceglie la bici è pazzesca: sono contenta che una piccola goccia nel mare del cambiamento sia anche mia.

Su Bike Channel ha condotto 80 puntate di In bici con Filippa.

Ho macinato centinaia di chilometri per l’Italia: facevamo vedere come grazie al turismo slow è possibile fare mille esperienze scoprendo le bellezze del territorio.

Lo rifarebbe?

Farei volentieri un programma simile, in coppia con mio marito Daniele. Mi piace l’idea di raccontare l’Italia che funziona.

A settembre torna con Fabio Fazio a Che tempo che fa, ma traslocate su Rai 2.

Aspetto che Fabio mi faccia sapere dove citofonare, come mi ha detto nell’ultima puntata.

Torniamo alle cose green. Sua figlia Stella, 16 anni, è attenta alle tematiche ambientaliste?

Sì, perché i giovani di oggi sono più sensibili rispetto a certi temi. Basta pensare a Greta Thunberg.

A proposito: che idea si è fatta dell’attivista 16enne sua connazionale?

È determinata, battagliera: non sarà lei a salvareil pianeta ma va ascoltata perché con il suo messaggio ha aperto un fronte. E mi spiace per le reazioni degli italiani.

Ovvero?

Leggo spesso i suoi post sui social, ci sono commenti in tutte le lingue del mondo e quelli più squallidi sono in italiano. E mi meraviglio, non capisco perché: va rispettato il suo impegno anziché vomitarle addosso odio e frustrazione. 

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Andrea Soglio