​Davide Serra, Ad Fondo Algebris
Getty Images
Economia

Fondi di investimento: l'effetto «Serra» della finanza

Già fan renziano, ora che quella stella è al tramonto elogia il realismo di Giorgia Meloni. Il capo di Algebris somiglia al fenomeno climatico: immagazzina ogni «fonte di energia» politica. E cresce.

Come passa il tempo, quando ci si diverte. E soprattutto quanto ci si diverte quando si spengono gli allarmi e si guadagna bene. Molto bene. Davide Serra, il finanziere dei fondi Algebris diventato famoso nel 2012, ai tempi dell’ascesa di Matteo Renzi, per tre lustri ha visto populisti e sovranisti ovunque e ha lanciato foschi allarmi. Poi, declinato l’astro dell’amico fiorentino, si è buttato su Mario Draghi indicandolo come una stella cometa. Infine, arrivati al governo Giorgia Meloni e Matteo Salvini, visto che lo spread non solo non è schizzato alle stelle, ma si è addirittura dimezzato, li ha in qualche modo sdoganati (più Lei, che Lui). E pure di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, Serra in privato dice bene. Anche perché dal 22 ottobre di due anni fa, giorno del giuramento del governo di centrodestra, l’indice di Borsa Ftse Italia banche è cresciuto del 153,7 per cento. E da Londra, Algebris, 26 miliardi di euro di fondi in gestione, aveva già investito moltissimo sulle banche per oltre un decennio. Da quando c’è il governo Meloni, il genovese Serra, 53 anni, londinese dal 1995 ma commendatore della Repubblica per volere di Giorgio Napolitano, ha diradato apparizioni ed esternazioni. È un peccato perché come il suo amico Matteo è un ex capo scout e ha un’ottima parlantina. Formatosi in Ubs e in Morgan Stanley, il raider non ha mai nascosto le simpatie per il centrosinistra. Prima per Renzi, ovvio, poi per Mario Monti ai tempi del fumogeno Scelta civica e poi di nuovo per l’ex sindaco di Firenze. Dieci anni fa, prese perfino la tessera del circolo Pd a Londra annunciando l’epico gesto a mezzo Corriere della Sera. Memorabile l’accoglienza del segretario del circolo: «Lo aspettiamo alle nostre riunioni e a volantinare per le elezioni».

Subito dopo le elezioni Usa, intervistato sul canale economico Cnbc, ha fatto il pompiere. «Donald Trump la prima volta era un esordiente assoluto (...) adesso già dai nomi che circolano per il Tesoro si capisce che passa dalla serie C alla serie A», ha spiegato, aggiungendo di non temere neppure per l’indipendenza della Federal Reserve «perché per stampare più moneta Trump ha bisogno di un dollaro forte e quindi non mi aspetto colpi di testa nella politica monetaria». Ma soprattutto, ha preso in giro i radical chic: «Anche con il Trump I i media woke dissero che la sua presidenza sarebbe stato un disastro è invece così non è stato. Oggi ha molto meno spazio di manovra su eventuali tagli fiscali e punterà a una grande riduzione della burocrazia».

Il trucchetto di distinguere tra un Trump I e un Trump II, Serra lo ha usato anche per digerire il Conte I e Giorgia Meloni, entrata trionfalmente a Palazzo Chigi il 22 ottobre del 2022. Il finanziere del resto ha sempre avuto il cuore a sinistra e il portafogli quantomeno al centro, per non dire a destra. Poco prima che la coppia Renzi-Boschi si schiantasse sul referendum costituzionale, Serra andò all’ennesima Leopolda e mise in guardia dalla possibile ascesa di destre e grillini: «Non penso che avere dei populisti a gestire un Paese sia negli interessi di tutti» (26 giugno 2016). Due anni dopo, nel 2018, quando vide i cinque stelle andare al governo con la Lega, da lui sempre criticati sbrigativamente come «no euro», spiegò serafico che «i mercati sono convinti che i 5 Stelle e Matteo Salvini non faranno quello che hanno detto e scritto per anni. Hanno già cambiato idea» (23 maggio 2018 a Radio Capital). E concluse che «fanno i populisti per vincere le elezioni, ma poi al governo diventano più realisti del re». In sostanza Serra si specchia: anche lui fa il compagno in campagna elettorale, ma poi quando vincono gli altri si adegua senza fare un plissé.

Mentre andava in scena il Conte II, con il Pd a presidiare il Tesoro, Serra andò alla scuola estiva di Italia Viva, a Castrocaro Terme, e sospirò: «Mi rattrista vedere che ho due passaporti di due Paesi che hanno di fatto due governi populisti» (27 agosto 2020). E dopo essersi innamorato del governo di Mario Draghi, quando poi le elezioni le vinse l’unico partito che aveva fatto opposizione, Fratelli d’Italia, Serra probabilmente si aspettava una qualche spallata dei mercati. Tutti i giornaloni scrivevano che Meloni sarebbe riuscita a stento a fare una Finanziaria e il 4 gennaio 2023 l’ex tessera Pd Londra #1 sentenziò: «Ci salverà il poco debito privato e Meloni che segue la linea Draghi». Prego? Ma certo, spiegò alla Stampa, «Giorgia Meloni, diversamente da molti alleati, è intelligente. Ha scritto una Finanziaria in continuità con Draghi. Quando era all’opposizione gridava “al lupo!”, poi ha capito che il lupo non c’è». Ancora una volta, Serra si specchiava. Non faceva parte anche lui di quelli che gridavano al lupo? Due settimane dopo è a Davos, dove è di casa da quindici anni, e visto che il governo Meloni mandò «solo» il ministro Giuseppe Valditara e il viceministro Valentino Valentini, che da solo parla più lingue di tutti i governi Conte I e II messi insieme, Serra partì con la rampogna: «Sarebbe doveroso che qui un governo mandasse i ministri dell’economia, dell’industria, dello sviluppo e un rappresentante della presidenza del Consiglio». L’establishment finanziario è così: se ci vai, devi genufletterti; se non ci vai, sei inadeguato.

A volte però si ottengono buoni risultati anche senza passare da Davos. Prendiamo lo spread con la Germania: il 22 ottobre 2022 Draghi, per Serra «il meglio che può esprimere l’Italia», lascia il differenziale tra i Btp a 10 anni e i Bund tedeschi a 233,5 punti, dopo averlo «preso» da Giuseppe Conte a 91,5 punti. Le Meloni in 26 mesi di governo, insieme a Giorgetti, lo fa scendere a 113 punti. Insomma, con il governo di «populisti e sovranisti», lo spread con la Germania è sceso del 51,4 per cento e quello con la Spagna è calato del 61 per cento. Un ultimo dato aiuta a capire la ritrovata serenità di Serra, che da quindici anni continua a puntare su Intesa, UniCredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm e su tutte le maggiori banche italiane. Tra fine ottobre 2022 e oggi, l’indice dei titoli bancari è salito di oltre il 150 per cento. Algebris (e i suoi fratelli) sono dei gentiluomini che godono tacendo. Il finanziere genovese comunque corregge il tiro già dopo un anno: «I mercati erano preoccupati (…) poi invece soprattutto Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti sono sembrate persone serie e il governo è partito molto bene, in continuità con l’agenda Draghi» (19 settembre 2023).

La conversione dell’ex star della Leopolda, che nel frattempo ha anche lanciato una proposta da vero patriota come quella di costringere i fondi pensione a investire una quota minima in titoli italiani, si è completata nei giorni scorsi su due fronti. Prima ha tessuto un grande elogio di Banco Bpm e dell’amata Mps, sposando di fatto l’idea del Terzo polo bancario patrocinato dal governo, e poi ha difeso Elon Musk facendo notare che comunque la si pensi «lui finirà sui libri di storia per aver rivoluzionato l’auto e aver superato la Nasa sulla Space economy». Diceva più o meno le stesse cose anche di Renzi, quando fece il Jobs Act, ma nel caso del patron di Tesla è chiaro che è scattata una solidarietà tra geni. n

© riproduzione riservata

I più letti

avatar-icon

Francesco Bonazzi