Françoise Gilot: "Sono l’unica amante che si è salvata da Picasso (lasciandolo)"
La mostra dell’anno, a Milano, e due film in arrivo. Pablo, l’artista perenne, raccontato da una donna che l’ha conosciuto da vicino. Tanto da vicino che, per salvarsi, ha dovuto scappare da lui. Su Panorama il meglio della stampa internazionale
di Malte Herwig
Parigi, Montmartre: i pittori ambulanti riempiono la place du Tertre e ritraggono i turisti giapponesi. Della fama e dell’infamia di questo quartiere di artisti, dove vivevano Pierre-Auguste Renoir e Vincent Van Gogh, e in cui Pablo Picasso aveva un atelier, è rimasto ben poco. Un paio di vie più in là, seduta nel suo laboratorio artistico, troviamo Françoise Gilot, la donna più famosa della storia dell’arte ancora in vita: vestito rosso, capelli a paggetto, e sopra gli occhi svegli, quelle sopracciglia che catturarono Matisse. Per 10 anni è stata l’amante e la musa di Picasso, nonché la madre dei suoi figli Claude e Paloma. Ha compiuto 90 anni ma le sue mani con cui ancora oggi dipinge appaiono forti.
Nella vita di Picasso ci furono molte donne e per la maggior parte di loro l’amore per lui finì in tragedia.
Davvero! Marie Thérèse Walter si impiccò, Jacqueline Roque si sparò, Olga Chochlova e Dora Maar persero la ragione. Solo io sono ancora viva e vegeta.
Nel suo libro, Vita con Picasso, riporta una frase dell’artista: "Ogni volta che cambio donna dovrei bruciare la precedente. Così me ne sbarazzerei".
Pablo diceva che in quel modo avrebbe potuto riacquistare la sua giovinezza. L’idea che una delle sue donne potesse vivere più a lungo di lui lo faceva infuriare. Una volta mi disse: "Tu non vivrai più a lungo di me".
A 90 anni e 6 mesi espone in America, Francia e Germania: non sembra affatto stanca. Tra 12 mesi lei avrà vissuto più a lungo di Picasso...
Lui direbbe che questa è la dimostrazione che non mi ha fatto soffrire abbastanza.
Per lui esistevano solo due tipi di donne: dee e vipere. A quale categoria si iscrive?
Quando ero incinta di Paloma, Pablo si recò a Varsavia a una conferenza sulla pace. Doveva trattenersi solo un paio di giorni e promise che mi avrebbe scritto. Invece fece scrivere i telegrammi al suo autista e stette via per quattro settimane. Quando rientrò, con un grande sorriso mi chiese se ero felice del suo ritorno: lo presi a schiaffi. Almeno quella volta fui una dea. Da quel momento quando era via mi scriveva ogni giorno.
Lo ha descritto come un uomo molto possessivo. Voleva che lei indossasse un lungo vestito nero, quasi come un burqa. Perché?
Si potrebbe dire che era un talebano. Oppure provi a pensare all’inquisizione: gli spagnoli sono inclini al sadismo in forme estreme e in Pablo era una parte importantissima della personalità. Una volta, scherzando, gli dissi che era il diavolo, lui mi lanciò uno sguardo perfido e penetrante e rispose: "E tu sei un angelo uscito dalla brace e quindi mia sottomessa, ti marchierò". Avvicinò una sigaretta alla mia guancia, ma non gli diedi soddisfazione, non battei ciglio. Alla fine disse: "No, potrei volerti guardare ancora in futuro".
Quando la volle presentare a Henri Matisse, le fu permesso di indossare un abito colorato.
Indossai una camicetta lilla e pantaloni verdi: sapevo che gli sarebbero piaciuti i colori, conoscevo i suoi dipinti. Matisse aveva un umorismo subliminale e si comportò come se non sapesse della mia relazione con Pablo. Gli disse che desiderava dipingere il mio ritratto, con il corpo blu e i capelli verdi. A casa, Pablo borbottò: "Come osa? Lo faccio io". Eravamo insieme da tre anni ma non mi aveva mai fatto un ritratto.
Che rapporto c’era tra i due?
Erano amici. Matisse aveva un paio d’anni in più ed era paterno, a Pablo non dispiaceva e accettava. Una volta, scherzando, Matisse disse che erano come i due poli della Terra. Lui veniva dal nord della Francia, Pablo dal sud della Spagna. Pablo rispose: "Bene, io sono il Polo Sud, è più freddo".
Pare che gli incontri tra i due richiedessero sempre un grande sforzo diplomatico. Che atmosfera si respirava?
Si scambiavano poche parole, si osservavano. Si consideravano dei sovrani. Erano i più grandi geni dell’epoca. Si parla sempre di una repubblica delle arti in cui tutti sono uguali. Non è così, alcuni sono più uguali di altri.
Perché lei smise di dipingere mentre stava con lui?
Non c’era spazio e non potevo occupare troppo posto, le tele sono grandi. Mi limitai a disegnare finché restammo insieme.
Quando, 7 anni dopo, lo lasciò, Picasso predisse che sarebbe stato solo grazie a lui che la gente si sarebbe interessata a lei.
Lo lasciai nel 1953, quasi 60 anni fa. Da allora ho fatto tutto ciò che ho voluto. C’era una grande affinità tra il mio stile e quello di Pablo. Ma si potrebbe dire lo stesso di Matisse e Georges Braque. Mi piace moltissimo anche il primo Rinascimento italiano. Non abbiamo genitori nella pittura, ma solo antenati.
Come mai le artiste donne sono spesso all’ombra degli uomini dominanti? All’ultima asta da Christie’s, a New York, il rapporto era di 11 a uno. Il dipinto più costoso del dopoguerra, Orange, Red, Yellow di Mark Rothko è stato venduto per quasi 87 milioni di dollari (circa 70 milioni di euro), mentre il dipinto più costoso di una pittrice, Louise Bourgeois, è stato venduto a soli 10,7 milioni di dollari.
Le donne ricavano meno dalla loro arte. A tutt’oggi le gallerie espongono molte più opere di artisti uomini. Ma noi donne siamo parzialmente colpevoli. Siamo sempre molto narcisiste: raramente troviamo il coraggio di diventare noi stesse e di definire i limiti.
Lei è stata una donna audace?
La paura non mi ha mai sfiorata. Avevo 13 anni, quando salii in piedi su un balcone alto e qualcuno gridò che avrei dovuto saltare. Così saltai e mi ruppi un piede. Però saltai. Se vengo stuzzicata, reagisco: sempre avanti! I miei genitori volevano un maschio e invece sono arrivata io. Così ho dovuto sviluppare il corpo e la mente come quelli di un ragazzo. Molto presto mi incitarono a praticare sport come l’equitazione, lo sci e il nuoto. Mi aiutarono a prendere confidenza e a non avere paura. In seguito se ne pentirono, non avevo più paura di loro.
Suo padre insistette affinché lei studiasse giurisprudenza. Come riuscì a realizzare lo stesso il suo sogno e diventare pittrice?
Prima studiai filosofia e poi iniziai giurisprudenza. Parigi era già occupata dai tedeschi, quando marciai verso l’Arco di trionfo con i miei compagni di università, l’11 novembre 1940. Fummo arrestati e il mio nome entrò a fare parte della lista degli ostaggi. Se un soldato tedesco fosse stato ucciso nel mio quartiere, i tedeschi avrebbero ammazzato 50 francesi di quella lista. Dovetti presentarmi ai comandanti ogni giorno per tre mesi. Mi sottrassi fingendo di avere interrotto gli studi di legge, che i tedeschi odiavano: dissi di essere una fashion designer e mi lasciarono andare.
Quando conobbe Picasso?
Nel 1943, e sebbene la nostra storia abbia avuto un inizio e una fine, fu la più grande passione della mia vita. Non ho mai più vissuto né amato così intensamente. La nostra relazione è scritta dentro di me con lettere di fuoco.
Parigi era occupata e a causa della pittura i suoi genitori la diseredarono. Fu una buona idea mettersi con un pittore di 40 anni più vecchio che, oltretutto, aveva altre due amanti e una moglie pazza che lo assillava?
Fin da subito ebbi la sensazione che le cose non avrebbero avuto un lieto fine. Finché non andammo a vivere insieme, la nostra relazione andava a gonfie vele. Ma Pablo voleva che io mi trasferissi da lui e dopo tre anni cedetti. Vivere con lui significò subirne completamente il fascino, il che è insopportabile con una persona così autorevole. Sapevo che la storia era destinata a fallire, ma fu un fallimento che meritava di essere vissuto. Con Picasso la vita non fu mai noiosa. Di mattina, ovvero prima delle 2 del pomeriggio, Pablo era molto depresso. Diceva che la sua vita era noiosa, che non gli interessava più nulla. La sera, però, era al settimo cielo. Era volubile, ma anche incredibilmente abile e intelligente. Non ho più incontrato una persona con cui dialogare in quel modo.
È vero che gli piaceva citare G.W.F. Hegel?
Sì. Io però avevo studiato molta più filosofia di lui. Tuttavia, Pablo era sempre circondato di poeti e autori e aveva potuto assorbire le loro idee senza doverle studiare. Il grande naturalista Georges Cuvier era in grado di ricostruire un intero brontosauro da un osso minuscolo e Pablo era solito creare un intero edificio di idee con un pizzico di Hegel. Non ha apprezzato, però, che io l’abbia scritto nel mio libro. Non voleva essere visto come un pensatore, ma come un animale selvaggio, una forza della natura, ma lui non era affatto così. Possedeva un’incredibile complessità intellettuale.
Ed era pieno di contraddizioni: se da un lato era ateo, dall’altro la obbligò a giurargli amore in un angolo buio di una chiesa. Non è ipocrisia?
Picasso non era ateo, era lui stesso un dio. Gli spagnoli amano negare Dio, ma alla fine sono molto più religiosi degli altri. Non temono le contraddizioni interiori. A Pablo piaceva comportarsi come una persona normale, ma nel contempo gli piaceva sparlare di pittori come Maurice de Vlaminck che portavano scarpe di legno piene di paglia. Riteneva che fosse una cosa primitiva. Uno dei suoi motti era: un pittore deve essere troppo povero per permettersi una mucca ma abbastanza ricco per permettersi un autista.
Picasso ha dichiarato che lei è "la donna che dice no".
Non conosceva obiezioni. A un certo punto era rimasto solo. Spesso chi acquisisce fama mondiale diventa automaticamente una persona molto sola. Pensai che rispondendogli potevo fare qualcosa per lui: davo sempre una risposta ai quesiti che mi poneva.
Lei è l’unica donna che abbia lasciato Picasso. Se n’è mai pentita?
No. La situazione era diventata davvero insostenibile. Avevo aspettato abbastanza, anche per via dei bambini. Pablo ne voleva addirittura un terzo per tenermi ancora più vicina, però io no. Realizzò poi, invece, la scultura di una donna incinta. Non mi piaceva molto e quando glielo dissi le tagliò i piedi.
Picasso la minacciò: "Nessuna lascia un uomo come me".
E io replicai: aspetta e vedrai. Era una provocazione e pensava che il suo potere su di me fosse invincibile. A un certo punto il suo sadismo mentale era persino peggiore della sua crudeltà fisica: ecco perché il mio amore per lui finì. Non ho mai amato nessuno così intensamente, ma non volevo neppure essere una schiava: se fossi rimasta, i miei figli ne avrebbero risentito negativamente.
Picasso partecipava all’educazione dei vostri figli mentre vivevate ancora insieme?
Sarebbe stata una sventura. Pensi a suo figlio maggiore, povero Paulo: non ha mai ricevuto un’istruzione decente. Dopo la nostra rottura, portai i miei figli a Parigi dove frequentarono una buona scuola. Vedevano il padre solo durante le vacanze, d’estate o a Natale.
Finché 11 anni dopo non fu pubblicato il suo libro e lui interruppe i contatti con lei e con i figli per sempre, per ritorsione.
Il libro fu solo un pretesto. Comunque non era contro di lui, anche se fu interpretato così.
È vero che Picasso minacciò di boicottare i proprietari delle gallerie parigine che esponevano le sue opere?
Non solo, le persone del suo entourage fecero anche in modo che i giornali pubblicassero solo le recensioni negative sui miei dipinti. Con alcune eccezioni: Alberto Giacometti, per esempio, mi chiamava ogni due settimane e mi rilanciò. Tutti gli altri mi davano la caccia come un branco di lupi. Pablo fece sì che la vita in Francia diventasse molto difficile per me. Grazie a Dio, alla fine degli anni 50 riuscii a esporre le mie opere in altri paesi.
Picasso tentò persino di fare proibire il suo libro da un tribunale.
Sì, ma la mia casa editrice e io vincemmo la causa perché io riuscii a dimostrare che tutto ciò che avevo scritto corrispondeva al vero. Vincemmo anche la causa d’appello perché il giudice decretò che la storia era di pubblico interesse. Sa cosa successe allora? Non parlavo con Pablo da 2 anni e il giorno dopo la sentenza mi chiamò e mi disse: "Congratulazioni, hai vinto e sai che a me piacciono i vincitori". Era il suo lato migliore. Combatteva contro di te fino alla morte, ma quando era tutto finito, sapeva accettare il risultato.
Lei ha pagato un prezzo altissimo ed è andata in America, dove ha sposato Jonas Salk, che sviluppò il vaccino antipolio.
Fu la decisione migliore della mia vita. Picasso e i suoi amici fecero di tutto per distruggermi. Se fossi rimasta qui, avrei perso tempo a combatterli senza arrivare a nulla. Così dissi: ragazzi, divertitevi, non mi interessa ciò che dite su di me, io sono diretta altrove.
Lei ha esposto le sue opere ogni anno: ha dimostrato che Picasso aveva torto.
Per me la pittura è un modo di scoprire l’ignoto. Bisogna reagire al mondo, essere attivi e non mezzo morti. Dobbiamo vivere finché siamo vivi. I rimpianti sono solo una perdita di tempo. Inoltre, è molto più interessante vivere momenti tragici con persone interessanti che vivere una vita meravigliosa con una persona mediocre. Una persona mediocre non ti dà pace: distrugge anche te, ci mette solo un po’ di più.
Che cosa intende dire?
È semplice, renderà noiosa la tua vita. Se si vuole vivere veramente, si deve rischiare clamorosamente, altrimenti la vita non vale la pena di essere vissuta. Se si rischia, si attraversano momenti terribili, ma si impara tanto, si vive di più e si capisce di più. Non si diventa noiosi. La cosa peggiore è proprio diventare noiosi.